Approfondimenti

Il mobbing e lo stalking occupazionale: un labile confine.

Si è recentemente conclusa una vicenda giudiziaria che vedeva protagonisti un lavoratore e il suo datore di lavoro.

Più nel dettaglio, il lavoratore lamentava l’esistenza di tutta una serie di condotte mobbizzanti poste in essere dal datore di lavoro, condotte che, a parere della Procura della Repubblica che ha rinviato a giudizio l’imprenditore e dei Giudici che successivamente lo hanno condannato, sono punibili penalmente ai sensi dell’art. 612 bis c.p. come stalking.

Non è il primo caso in cui la Corte di Cassazione ha riconosciuto l’esistenza di uno stalking c.d. occupazionale, punendo penalmente il datore di lavoro.

Innanzi tutto è necessario chiarire che il reato di atti persecutori si configura quando un soggetto pone in essere condotte reiterate volte a provocare nella vittima, alternativamente, uno dei tre eventi legislativamente previsti dalla norma:

un perdurante e grave stato di ansia o di paura;
un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva;
un cambiamento delle abitudini di vita.

A parere della Cassazione, è irrilevante il luogo ove tali eventi si verificano e, dunque, nel caso in cui il datore di lavoro realizzi più condotte finalizzate ad isolare e a vessare il lavoratore e quest’ultimo dimostri la realizzazione di uno degli eventi contemplati dall’art. 612 bis del c.p., la fattispecie assume non più e non solo rilevanza giuslavoristica, ma addirittura penalistica.

Solo a titolo esemplificativo, si potrà parlare di stalking occupazionale nel caso in cui vi sia una reiterata violenza psicologica nei confronti del lavoratore mediante un utilizzo eccessivo e pretestuoso di lettere di ammonimento, disciplinari, inviate anche nelle ore in cui il lavoratore non è in servizio attraverso posta elettronica, pec, whatsapp, di domenica o in altri giorni festivi, in orari serali o notturni, finalizzati a creare timore, ansia ed infastidire la tranquillità personale e familiare della vittima.

Ancora, le condotte potrebbero assumere una rilevanza penale nel caso in cui vi siano atteggiamenti minatori volti a paventare denunce o procedimenti disciplinari in danno del lavoratore, diffondere notizie false e denigratorie all’interno del luogo di lavoro, controllare continuamente l’operato del dipendente, rifiutare di concedere ferie o permessi e, chiaramente, demansionare gradatamente il lavoratore delle proprie mansioni fino ad arrivare, in taluni casi, a privarlo del tutto delle stesse.

Tali condotte potrebbero essere seguite dalla necessità del dipendente di allontanarsi o assentarsi dal luogo di lavoro per sfuggire proprio alla situazione fortemente ansiosa.

Sul piano del diritto civile, tali condotte reiterate vengono considerate molestie sessuali o mobbing.

A livello penalistico, la giurisprudenza e la dottrina, considerano lo stalking occupazionale diretta espressione dell’art. 2087 del c.c. che tutela l’integrità fisica e morale del prestatore d’opera, obbligo incombente sul datore di lavoro.

Da ciò consegue che il datore di lavoro che mette in pericolo tale integrità possa rispondere del reato previsto dall’art. 612 bis c.p..

Non solo.  La giurisprudenza si è spinta in alcuni casi ad affermare che se il datore di lavoro era a conoscenza delle condotte persecutorie denunciate dalla vittima e poste in essere dai superiori gerarchici e non si è attivato ed adoperato per far cessare le stesse, deve essere considerato responsabile in solido con il persecutore o stalker di tutti i danni ingiustamente cagionati alla vittima che potranno essere biologico, morale, esistenziale e patrimoniale.

 

 

Approfondimenti Consulenza societaria - contrattualistica d'impresa

Costituzione online delle società: entro agosto 2021 obbligo di recepimento della Direttiva UE 2019/1151

Entro il 1° agosto 2021 gli Stati UE dovranno adeguare il diritto nazionale per permettere, in alternativa alla procedura ordinaria, la costituzione online di Srl e Srls, la registrazione delle succursali e la presentazione di documenti e informazioni.

Secondo la direttiva UE 2019/1151 sull’utilizzo di strumenti e processi digitali nel diritto societario, la costituzione delle società dovrà poter essere completamente svolta telematicamente, senza che i richiedenti debbano comparire di persona dinanzi a un’autorità o a qualsiasi persona o organismo incaricato a norma del diritto nazionale di occuparsi di qualunque aspetto della costituzione online delle società, compresa la redazione dell’atto costitutivo.

L’obiettivo è quello di dimezzare le tempistiche di registrazione delle società e delle succursali e di ridurre in maniera significativa i relativi costi.

Dovranno essere resi disponibili, per Srl e Srls, i modelli sui portali o sui siti web per la registrazione, accessibili mediante lo Sportello digitale unico: il contenuto dei modelli dovrà essere disciplinato dal diritto nazionale.

Dovrà comunque essere mantenuta la possibilità di redigere gli atti costitutivi in forma di atto pubblico, se il diritto nazionale lo prevede.

 

IDENTIFICAZIONE DEI RICHIEDENTI

Per l’identificazione “a distanza” dei soggetti sottoscrittori potranno essere usati i mezzi adottati nell’ambito del regime di identificazione elettronica approvato a livello nazionale o quelli emessi in un altro Stato UE riconosciuti ai fini dell’autenticazione transfrontaliera nel rispetto delle condizioni del regolamento (UE) n. 910/2014 (regolamento e-IDAS).

Se giustificato da motivi di interesse pubblico per impedire l’usurpazione o l’alterazione di identità, gli Stati UE potranno adottare misure per richiedere una presenza fisica per la verifica dell’identità del richiedente dinanzi a un’autorità, persona od organismo incaricati dal diritto nazionale di trattare tali procedure, compresa l’elaborazione dell’atto costitutivo di una società, ma tale richiesta potrà essere avanzata solo “caso per caso” se vi sono motivi di sospettare una falsificazione dell’identità, mentre qualsiasi altra fase della procedura dovrà essere completata online.

Gli Stati UE dovranno stabilire le procedure per:

garantire che i richiedenti abbiano la capacità giuridica e la capacità di rappresentare la società;
predisporre i mezzi per la verifica dell’identità dei richiedenti;
verificare la legittimità dell’oggetto e della denominazione della società (se tali controlli sono previsti dal diritto nazionale);
verificare la nomina degli amministratori.

 

VERSAMENTO CAPITALE SOCIALE E PAGAMENTI

Per l’eventuale versamento del capitale sociale, il pagamento dovrà poter essere effettuato online su un conto corrente presso una banca che opera nell’Unione Europea. Anche la prova di tali pagamenti dovrà poter essere fornita online.

Gli eventuali pagamenti previsti per gli oneri della procedura dovranno essere online, consentendo “l’identificazione della persona che ha effettuato il pagamento” attraverso un servizio fornito da un istituto finanziario o da un prestatore di servizi di pagamento stabilito in uno Stato membro.

 

OBBLIGHI INFORMATIVI

La Direttiva prevede che vengano “rese disponibili informazioni concise e agevoli, gratuitamente, in almeno una lingua ampiamente compresa dal maggior numero possibile di utenti transfrontalieri, sui portali o sui siti web per la registrazione accessibili mediante lo sportello digitale unico, per assistere nella costituzione di società e nella registrazione di succursali”.

Le informazioni dovranno almeno riguardare le procedure previste per la costituzione delle società e per la registrazione delle succursali, una sintesi delle norme applicabili per diventare membri degli organi di amministrazione, gestione o vigilanza di una società e le altre modalità operative riguardanti la costituzione.

 

TEMPI DI COSTITUZIONE

La costituzione online dovrà essere completata entro i seguenti termini:

5 giorni lavorativi, se la società sarà costituita esclusivamente da persone fisiche che utilizzino i modelli di cui all’art. 13-nonies;
10 giorni lavorativinegli altri casi, a decorrere dall’ultimo degli adempimenti previsti dalla Direttiva (la data di adempimento di tutte le formalità richieste per la costituzione online, la data del pagamento di una commissione di registrazione, il pagamento del capitale sociale in contanti, etc).

In caso di ritardo il richiedente dovrà essere informato sulle motivazioni di tale ritardo.

 

AMMINISTRATORI INTERDETTI

Gli Stati membri dovranno introdurre a livello nazionale norme che disciplinino il caso in cui la persona che fa parte dell’organo amministrativo sia stata interdetta dalla funzione di amministratore.

 

TEMPI DI RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA

Per il recepimento delle nuove disposizioni sono previsti per gli Stati membri i seguenti termini:

entro il 1° agosto 2021 gli Stati dovranno trasporre nel diritto interno la direttiva (UE) 2019/1151, adottando le necessarie opportune disposizioni legislative, regolamentari e amministrative e informando immediatamente la Commissione;
entro il 1° agosto 2023 gli Stati dovranno:

à prevedere le procedure di costituzione online delle società, precisarne le modalità, mettere a disposizione i modelli sui portali o sui siti web per la registrazione accessibili mediante lo sportello digitale unico);

à stabilire le norme sull’interdizione degli amministratori

à prevedere la possibilità di verificare elettronicamente l’origine e l’integrità di informazioni e documenti societari presentati online;

à costituire un fascicolo presso il registro di commercio o presso il registro delle imprese per ogni società iscritta e predisposizione dell’identificativo unico europeo, “EUID”.

In deroga alla norma che fissa la scadenza del 1° agosto 2021, gli Stati membri che incontrano particolari difficoltà nel recepimento della direttiva (UE) 2019/1151 hanno il diritto di beneficiare di una proroga di massimo un anno, a patto che forniscano i “motivi oggettivi della necessità di tale proroga”: gli Stati membri dovranno notificare alla Commissione, entro il 1° febbraio 2021, l’intenzione di avvalersi della proroga.

 

Approfondimenti

Il Superbonus 110%: via libera agli interventi di efficientamento energetico.

Il 5 ottobre sono stati pubblicati i decreti attuativi del cd. “Decreto Rilancio” in relazione al cd. Superbonus 110%.

Le norme citate disciplinano dunque le modalità di accesso alle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica e interventi antisismici degli edifici.

Si tratta, dunque, di misure che hanno l’obiettivo di favorire gli interventi di efficientamento energetico e antisismici, nonchè l’installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici.

Ma che cos’è il superbonus 110%?

Si tratta, di una misura di agevolazione che eleva al 110% l’aliquota di detrazione delle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021, per interventi in ambito di efficienza energetica, di interventi antisismici, di installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici.

Si rileva in primo luogo che tale detrazione non si sostituisce ma si aggiunge sia al sismabonus sia all’ecobonus, già presenti da qualche anno nel nostro ordinamento.

Ma l’aspetto più rilevante consiste nella facoltà per coloro che usufruiscono del Superbonus 110% di non optare per la detrazione diretta, ma di ottenere un’anticipazione sotto forma di sconto dai fornitori dei beni o servizi oppure di ottenere una cessione del credito corrispondente alla detrazione spettante.

La cessione può essere disposta in favore:

dei fornitori dei beni e dei servizi necessari alla realizzazione degli interventi;
di altri soggetti (persone fisiche, anche esercenti attività di lavoro autonomo o d’impresa, società ed enti);
di istituti di credito e intermediari finanziari.

La detrazione sarà ripartita in cinque quote annuali di pari importo, entro i limiti di capienza dell’imposta annua derivante dalla dichiarazione dei redditi.

Gli interventi interessati dal Superbonus possono essere “trainanti” o “trainati”.

Sono interventi trainanti quelli che possono essere eseguiti anche autonomamente e sono i seguenti:

interventi di isolamento termico sugli involucri
sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale sulle parti comuni
sostituzione di impianti di climatizzazione invernale sugli edifici unifamiliari o sulle unità immobiliari di edifici plurifamiliari funzionalmente indipendenti. Attenzione:
interventi antisismici: la detrazione già prevista dal Sismabonus è elevata al 110% per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021.

Rientrano nel Superbonus anche le spese per interventi “trainati”, ovvero eseguiti insieme ad almeno uno degli interventi principali di isolamento termico, di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale o di riduzione del rischio sismico.

interventi di efficientamento energetico
installazione di impianti solari fotovoltaici
infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici

Mediante i recentissimi decreti attuativi sono stati definiti, sotto un profilo tecnico, i requisiti da rispettare, sotto il profilo tecnico, per aver diritto alla detrazione delle spese. Sono inoltre stabiliti i massimali di costo specifici per singola tipologia di intervento e le procedure e le modalità di esecuzione di controlli a campione volti ad accertare il rispetto dei requisiti che determinano l’accesso al beneficio.

Infine, vengono stabilite le modalità di trasmissione del modulo delle asseverazioni, poi trasmesse ai vari organi competenti tra cui ovviamente l’Enea.

Per gli interventi la cui data di inizio lavori – comprovata tramite apposita documentazione – sia antecedente a quella di entrata in vigore del decreto, valgono invece le disposizioni del Decreto Ministeriale del 19 febbraio 2007. Per poter richiedere il superbonus 110% anche in caso di lavori effettuati prima del 6 ottobre è necessario acquisire l’asseverazione che comprenda la dichiarazione di congruità delle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021.

 

Approfondimenti

Il divieto dei licenziamenti a durata variabile: facciamo chiarezza

Il divieto dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo costituisce una delle misure più discusse che i vari decreti succedutesi a partire dal D. Cura Italia per fronteggiare l’emergenza sanitaria ed economica da Corona Virus hanno introdotto.

L’art. 14 del decreto Agosto (D.L. 14 agosto 2020, n. 104) al fine di bilanciare le contrapposte esigenze sindacali ed aziendali rispettivamente a sostegno e critica della sospensione dei licenziamenti  inizialmente previsto fino al 17 agosto 2020, ha individuato un sistema combinato di misure che rendono il termine per la decadenza del divieto variabile a seconda della scelta effettuata dalla singola azienda, prevedendo altresì una serie di deroghe al divieto.

La durata variabile 

Il Decreto Agosto ha, infatti,  previsto da un lato un nuovo periodo di ammortizzatori sociali da utilizzare tra il 14 Luglio 2020 e il 31 Dicembre 2020 per un totale di 18 settimane (art. 1 D.L. 104/2020); dall’altro lato ha individuato una nuova misura destinata alle aziende che non intendono utilizzare il nuovo periodo di cassa integrazione consistente in un esonero contributivo per un periodo massimo di 4 mesi e per un monte ore pari al doppio di quelle utilizzate per CIG nei mesi di maggio e giugno 2020. (art. 3 D.L. 104/2020)

Si è quindi stabilito che il divieto di licenziamento per motivi economici  decadrà entro il termine ultimo del 31.12.2020 in un momento diverso a seconda della  misura adottata dall’azienda ovvero:

1) dopo la totale fruizione delle ulteriori 18 settimane di ammortizzatori sociali previsti dall’art. 1 del Decreto, oppure

2) al termine dell’utilizzo dell’agevolazione contributiva prevista dall’art. 3 del D.L. 104/2020

con la conseguenza che il termine del divieto potrà essere per le singole aziende sensibilmente diverso.

A titolo esemplificativo si osservi che se un’azienda ha usufruito del trattamento di integrazione salariale in via continuativa dall’inizio dell’emergenza la sospensione dei licenziamenti terminerà il 16 novembre 2020, se invece è stato operato un frazionamento, con saltuaria riammissione totale dei dipendenti e/o utilizzo delle ferie, il divieto potrà arrivare fino al termine ultimo del 31 Dicembre 2020.

Ed ancora, ove l’azienda avesse optato (con scelta irreversibile) per l’agevolazione contributiva e nei mesi di maggio e giugno 2020 avesse ipoteticamente sfruttato soltanto due settimane di cassa integrazione già dopo un mese dal 17 agosto 2020 potrebbe trovarsi nelle condizioni di poter licenziare.

I chiarimenti dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro 

Sull’operatività di tale differenti misure si rileva che la recente  circolare dell’Ispettorato del Lavoro del 17.09.2020 ha chiarito, essendo emersi dubbi interpretativi sul punto, che potranno beneficiare dell’agevolazione contributiva anche i datori di lavoro ammessi al trattamento di cassa integrazione ai sensi del D.L. n. 18/2020 (Cura Italia) e che abbiano fruito di periodi di cassa, anche parzialmente, dopo il 12 luglio. Si precisa, inoltre, che laddove si riscontri la violazione del divieto di cui all’art. 14, verrà disposta la revoca dell’esonero con efficacia retroattiva ed al contempo l’impossibilità di presentare domanda per i trattamenti di integrazione salariale (comma 3). Il beneficio è altresì cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente, nei limiti della contribuzione previdenziale dovuta.

Deroghe al divieto

L’art. 14 del D. Agosto ha introdotto, inoltre,  alcune deroghe espresse al divieto di licenziamento, prevedendo che i datori di lavoro possano procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo nei seguenti casi:

Cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, con messa in liquidazione della società. Una cessazione parziale come, ad esempio, la chiusura di una unità produttiva di per sé non porta alla sospensione del blocco.
Accordo collettivo aziendale: si concede alle aziende la possibilità di procedere ad una riduzione di personale previo raggiungimento di un accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, con un incentivo all’esodo per i dipendenti che aderiscono, ai quali viene riconosciuto il diritto alla NASPI, , pur trattandosi di una risoluzione consensuale.
Fallimento della società senza alcun esercizio provvisorio dell’attività, con cessazione totale della stessa. Anche in questo caso, non opera il divieto nel caso in cui sia stato disposto l’esercizio provvisorio dell’attività da parte di un ramo dell’azienda, resteranno esclusi i settori non compresi nel fallimento.

Licenziamenti esclusi dal divieto

Si ricorda, infine, che i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, soggetti al divieto di cui si è sopra detto, non esauriscono i possibili recessi datoriali che, comunque, restano ammissibili in questo periodo e che elenchiamo di seguito:

i licenziamenti per motivi soggettivi adottati al termine della procedura disciplinare di cui all’art. 7 L. 300/1970, siano essi per giusta causa che per giustificato motivo soggettivo
i licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia;
i licenziamenti determinati da superamento del periodo di comporto. Rispetto a tali licenziamenti occorre porre attenzione alle eventuali assenze per malattia connesse al periodo di quarantena e/o isolamento domiciliare che non possono essere conteggiate ai fini del computo del periodo di comporto (art. 26, comma 1, del decreto 18/2020 e successive modifiche)
i licenziamenti durante o al termine del periodo di prova
i licenziamenti dei dirigenti sulla base della c.d. “giustificatezza”;
i licenziamenti dei lavoratori domestici
la risoluzione del rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo a seguito di recesso ex art. 2118 c.c. Si consideri, sul punto, che il periodo formativo dell’apprendistato professionalizzante è prorogato per un periodo uguale a quello in cui l’apprendista ha fruito della integrazione salariale.

 

 

Approfondimenti Contrattualistica d'impresa

E-commerce: Regolamento UE 2019/1150 – nuove regole per marketplace e motori di ricerca

A decorrere dal 12 luglio 2020 trovano applicazione in tutti gli Stati membri dell’UE le norme del Regolamento (UE) 2019/1150 che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online.

 

CHI RIGUARDA:

Il regolamento si applica ai servizi di intermediazione online (marketplace) e ai motori di ricerca online forniti agli utenti commerciali e ai titolari di siti web aziendali che hanno il luogo di stabilimento o di residenza nell’Unione europea e che, tramite tali servizi e motori di ricerca, offrono beni o servizi ai consumatori dell’UE.

Non si applica, invece, ai servizi:

peer-to-peer (tra consumatore e consumatore), esclusivamente B2B (Business to Business) ossia che non risultino funzionali all’instaurazione di rapporti commerciali con i consumatori
di pagamento online
di pubblicità online che non implichino una relazione contrattuale con il consumatore.

 

OBIETTIVI:

garantire maggiore trasparenza nelle condizioni contrattuali applicate agli utenti commerciali dai marketplace e dai motori di ricerca, in considerazione della maggior dipendenza che le aziende hanno verso tali soggetti per poter offrire i propri beni e servizi a consumatori e utenti.

 

CONTENUTO:

REGOLE PER LA PREDISPOSIZIONE CLAUSOLE CONTRATTUALI:

Uso di linguaggio semplice e comprensibile nella predisposizione delle clausole.
Facile reperibilità da parte degli utenti dei documenti contrattuali in tutte le fasi del rapporto contrattuale.
Indicazione espressa all’interno dei contratti delle ragioni che giustificano la facoltà di sospendere, cessare o limitare, in tutto o in parte, la fornitura dei servizi della piattaforma online. In ogni caso il fornitore del servizio dovrà comunicare con adeguato preavviso la decisione di sospensione o cessazione. Contro tale decisione l’utente avrà diritto di proporre un reclamo.
Obbligo di comunicazione delle modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali da parte del gestore della piattaforma, con preavviso di almeno 15 giorni, salvo che le modifiche siano necessarie per adempiere ad un obbligo normativo o per far fronte ad un pericolo imminente connesso alla difesa dei servizi, dei consumatori ed utenti commerciali da frodi, malware, spam, violazioni dei dati o rischi di sicurezza informatica. Durante il periodo di preavviso l’utente commerciale ha facoltà di risolvere il contratto, ma può comunque rinunciarvi o tramite dichiarazione espressa o con un’azione chiara ed affermativa (come, ad esempio, qualora carichi un’applicazione su un marketplace di software).
Obbligo di trasparenza dell’identità dell’utente commerciale che fornisce i beni o servizi tramite la piattaforma.
divieto di applicazione retroattiva delle modifiche contrattuali e obbligo di includere informazioni in merito alla possibilità di risoluzione del contratto da parte dell’utente commerciale e dell’esistenza di un accesso tecnico e contrattuale (o della mancanza di tale accesso) ai dati forniti o generati dall’utente commerciale, che sono conservati dalla piattaforma dopo la cessazione del contratto.

OBBLIGHI DI TRASPARENZA PER I CRITERI DI POSIZIONAMENTO:

Obbligo di inserimento nei documenti contrattuali dei principali parametri che determinano il posizionamento ed i criteri di contemperamento tra questi ed ulteriori parametri per i fornitori di servizi di intermediazione online.
Obbligo di indicazione dei parametri più significativi per determinare il posizionamento ed il loro rapporto con gli altri parametri eventualmente utilizzati, per i motori di ricerca. Tale descrizione deve essere collocata in maniera facilmente accessibile e redatta in un linguaggio semplice e comprensibile. Obiettivo dell’obbligo di trasparenza è di far comprendere chiaramente all’utente commerciale in quale misura i meccanismi utilizzati dal motore di ricerca per il posizionamento nei risultati tengano conto delle caratteristiche dei prodotti e dei servizi offerti, della pertinenza di tali caratteristiche con il pubblico di consumatori nonché la rilevanza delle caratteristiche grafiche dei siti web utilizzati dagli utenti commerciali.

TRATTAMENTO DIFFERENZIATO:

Obbligo per il gestore della piattaforma o del motore di ricerca di inserimento nel contratto della descrizione di qualunque trattamento differenziato che possa essere riservato ai prodotti o ai servizi offerti ai consumatori attraverso i servizi di intermediazione online dal fornitore di servizi stesso o da utenti commerciali controllati da detto fornitore, da un lato, e ad altri utenti all’utilizzo dei dati (personali e non), di cui la piattaforma o il motore di ricerca è in possesso, che sono forniti dall’utente commerciale o dai consumatori stessi per l’uso dei servizi della piattaforma o del motore di ricerca o generati tramite l’utilizzo di tali servizi, al posizionamento o altre impostazioni che possono influire sull’accesso alle offerte presenti sulla piattaforma, ai corrispettivi diretti o indiretti addebitati e a qualsiasi condizione o corrispettivo particolare addebitato per l’uso dei servizi, funzionalità o interfacce tecniche.

REGOLE PER L’ACCESSO AI DATI:

Obbligo di inserire all’interno dei contratti una descrizione circa la possibilità o meno accedere ai dati personali o ad altri dati che sono forniti o generati sia dai consumatori sia dall’utente commerciale stesso, e nel caso in cui sia possibile accedere le categorie di dati interessate e le condizioni di accesso.
Obbligo di fornire una specifica informativa anche sulla possibilità di accesso da parte dell’utente commerciale dei dati in forma aggregata nonché se sia prevista o meno la condivisione con terzi dei dati e, qualora detta condivisione non sia necessaria al funzionamento della piattaforma, lo scopo che intende soddisfare tale condivisione e la possibilità o meno da parte dell’utente commerciale di opporsi alla stessa.

RECLAMI E CONTROVERSIE

Obbligo di inserimento da parte delle piattaforme online di meccanismi interni di gestione dei reclami
Indicazione nei termini e condizioni contrattuali dei meccanismi di gestione dei reclami con predisposizione di specifiche informazioni sul loro funzionamento da rendere disponibili al pubblico.
Adozione di strumenti di mediazione che assicurino specifici requisiti (indipendenza, economicità, conoscenza delle tematiche di riferimento e delle lingue).
possibilità per le associazioni di categoria o per particolari organismi pubblici, che gli Stati membri devono individuare, di agire nei confronti dei fornitori dei servizi di intermediazione onlineo di motori di ricerca contro le eventuali violazioni delle previsioni del Regolamento.

 

Appalti pubblici Approfondimenti

Le nuove procedure di affidamento dei contratti pubblici previste dal D.L. Semplificazione.

Il decreto legge n. 76/2020 “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”,
entrato in vigore dal 17 luglio 2020, introduce la deroga al comma 2 dell’articolo 36 (ed al comma 2 dell’articolo 157) del Codice dei contratti pubblici.
Il decreto legge “semplificazione” al fine di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché al fine di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19, fermo quanto previsto dagli articoli 37 e 38 del decreto legislativo n. 50 del 2016, prevede che le Stazioni Appaltanti possono procedere all’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35 del decreto legislativo n. 50 del 2016 secondo le seguenti modalità:
a) affidamento diretto per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a € 150.000;
b) procedura negoziata senza bando sempre nel rispetto di un criterio di rotazione:
– previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, per servizi e forniture di importo pari o superiore a €. 150.000 e fino alla soglia di €. 214.000 e per lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro,
– previa consultazione di almeno dieci operatori economici, ove esistenti, per lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiore a un milione di euro,
– previa consultazione di almeno quindici operatori economici, ove esistenti, per lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie di €. 5.350.000,
c) l’avviso sui risultati della procedura di affidamento deve contenere anche l’indicazione dei soggetti invitati,
d) gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga gli elementi descritti nell’articolo 32, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016,
e) per le modalità di affidamento di cui all’art. 1 D.L. n. 76/2020 la Stazione Appaltante non chiede le garanzie provvisorie di cui all’articolo 93 del decreto legislativo n. 50 del 2016, salvo che, in considerazione della tipologia e specificità della singola procedura, ricorrano particolari esigenze che ne giustifichino la richiesta, che la stazione appaltante indica nell’avviso di indizione della gara o in altro atto equivalente (nel caso in cui sia richiesta la garanzia provvisoria, il relativo ammontare è dimezzato rispetto a quello previsto dal medesimo articolo 93).

La norma è applicabile fino al 31 luglio 2021.

Dunque, si prospettano due tipi di affidamenti:
– Affidamento senza confronto di preventivi;
– Procedura negoziata senza pubblicazione di bando.

Da notare, comunque, che il Decreto Semplificazioni insiste nel richiamare il principio di rotazione rappresentata dall’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione. Pertanto, anche in applicazione della deroga prevista dal decreto semplificazioni, il gestore uscente deve essere escluso dalla procedura negoziata a prescindere dai modi in cui aveva ottenuto il precedente affidamento (Cons. Stato, V, 13.12.2017, n. 5854; Tar Toscana, Firenze, Sez. I, 2 gennaio 2018 n. 17).
Si ricorda che, anche con recentissime pronunce, la giurisprudenza ha rilevato che il principio di rotazione opera nelle “procedure negoziate” in cui l’amministrazione appaltante “non” consente, alla fonte, la partecipazione da parte di “tutti” gli imprenditori alla gara, ma solo ad una parte “selezionata”, da essa stessa, tramite la scelta nell’individuazione dei soggetti da invitare (ex multis Tar Sardegna, Cagliari, 2 gennaio 2020, n. 8).

Approfondimenti

I contratti a termine durante l’emergenza sanitaria: le deroghe alla disciplina generale previste dal D. Cura Italia e dal D. Rilancio.

La disciplina generale del contratto a tempo determinato

Il contratto a termine è disciplinato dal d. lgs. n. 81/2015, come modificato dal D. Dignità e costituisce un’eccezione al modello generale rappresentato dal contratto di lavoro a tempo indeterminato. Proprio in ragione della sua natura eccezionale rispetto al modello comune è sottoposto ad una serie di condizioni e requisiti di legittimità, divenute oggetto di numerosi interventi e successive modifiche legislative orientati ad una maggiore o minore restrizione a seconda della finalità perseguita di riduzione della precarietà ovvero di maggiore flessibilizzazione del mercato del lavoro.

Le regole generali attualmente in vigore possono essere sintetizzate come segue:

La durata del contratto di lavoro a tempo determinato “a-causale”, ovvero non sorretto da alcune ragione giustificatrice della temporaneità, non può essere superiore ai 12 mesi.
Al superamento dei 12 mesi, il contratto può essere prorogato o rinnovato fino ad una durata massima di 24 mesi solo in presenza di determinate causali, tassativamente indicate dalla legge e consistenti in:
Esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività;
Ragioni sostitutive;
Esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria;
In ogni caso il numero di proroghe consentite entro i 24 mesi non può essere superiore a 4, indipendentemente dal numero dei rinnovi.
Nelle ipotesi di rinnovo è necessario che trascorra un lasso di tempo tra i due contratti a termine, stipulati tra le stesse parti contrattuali:
intervallo di 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi;
intervallo di 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.
Il mancato rispetto delle disposizioni in ordine alla durata e al numero massimo delle proroghe determina la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.
Ciascun datore di lavoro è consentito stipulare un numero complessivo di contratti a tempo determinato non superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato
Per le ipotesi di violazione del limite percentuale, è prevista soltanto una sanzione amministrativa- e non la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato a carico del datore di lavoro.
È vietata l’assunzione o la proroga di lavoratori a tempo determinato presso unità produttive ove sono in corso sospensioni o riduzioni di orario in regime di integrazione salariale, che riguardano dipendenti adibiti a mansioni alle quali si riferisce il contratto a termine,

Ebbene, fin dall’inizio della crisi sanitaria determinata dalla pandemia da COVID -19, è emerso con tutta evidenza che la rigidità delle regole dettate in materia di contratti a termine avrebbe determinato come immediata conseguenza dell’incertezza economica, l’interruzione di tutti (o quasi) i rapporti di lavoro a termine che fossero giunti alla loro naturale scadenza durante o immediatamente dopo i mesi dell’emergenza sanitaria.

Il Governo è, dunque, intervenuto al fine di tutelare i posti di lavoro dei dipendenti a tempo determinato prevedendo, prima nella L. Di Conversione del decreto “cura Italia” (Legge 27/2020) e successivamente nel recente decreto “Rilancio” (D.L. 34/2020), alcune disposizioni derogatorie delle regole generali sopra ripercorse.

Le deroghe previste dal  Decreto “Cura Italia”e dal Decreto “Rilancio”

L’art. 19 bis della L. di conversione del D.L. 18/2020 Cura Italia (che nulla aveva previsto in materia)  prevede una prima importante norma in deroga a tre regole generali previste dal D. lgs n. 81/2015 stabilendo:

La possibilità di prorogare e rinnovare contratti a tempo determinato nel periodo in cui l’azienda ha in atto una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, in deroga all’art. 20, comma 1, lettera c)che – come sopra detto – vieta l’apposizione di un termine al contratto di lavoro qualora l’azienda abbia attivo, nelle medesime unità produttive, un ammortizzatore sociale.
L’estensione di tale possibilità anche alle proroghe ed i rinnovi a termine di un lavoratore da parte di una Agenzia per il lavoro, a scopo di somministrazione, presso datori di lavoro che hanno in corso sospensioni o riduzioni di orario per i propri dipendenti che sono adibiti alle stesse mansioni ai quali si riferiscono i contratti di somministrazione
È stato, inoltre, rimosso il vincolo che prevede, in caso di successivo rinnovo del contratto a termine con il medesimo lavoratore, l’obbligo di una “vacanza” contrattuale (anche detta “stop & go”) tra due rapporti a tempo determinato. In caso di successivi rinnovi, quindi, non dovrà essere rispettato lo stop di dieci giorni dalla scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero di venti giorni dalla data di scadenza di un contratto superiore ai sei mesi.

La seconda norma finalizzata al mantenimento dei rapporti di lavoro a termine è stata prevista dall’articolo 93, del decreto “Rilancio” (Decreto Legge n. 34/2020), introdotta, invero, per colmare un grave lacuna dei precedenti intervenuti governativi, i quali pur consentendo proroghe e rinnovi durante i periodi di sospensione o riduzione delle attività per Cassa Integrazione nulla aveva previsto in ordine alla necessità di rispettare l’obbligo di sussistenza delle causali giustificatrici, tassativamente indicate dalla legge.

Con l’art 93 del D.L. Rilancio è stata, quindi, introdotta la possibilità, in deroga all’articolo 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, di”rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere alla data del 23 febbraio 2020 anche in assenza delle condizioni introdotte dal decreto “Dignità” e quindi senza l’apposizione delle specifiche causali.

Su questo punto si segnala che erano sorte perplessità sull’interpretazione del testo normativo perché non era chiaro se il termine del 30 agosto si riferisse alla data di inizio o di conclusione del rinnovo o proroga contrattuale. Il ministero del lavoro in una faq dei giorni scorsi ha fornito una interpretazione restrittiva stabilendo che i contratti in essere possono avere durata rinnovata o prorogata fino al 30 agosto.

Un’ulteriore novità riguarda, inoltre, il lavoro agricolo,venendo stabilita  la possibilità per i percettori di ammortizzatori sociali a zero ore, solo per il periodo di sospensione dalla prestazione lavorativa a zero ore, i percettori di indennità di disoccupazione NASPI e DIS-COLL  e i percettori di Reddito di cittadinanza, di stipulare con datori di lavoro del settore agricolo contratti a termine non superiori a 30 giorni, rinnovabili per ulteriori 30 giorni, senza subire la perdita o la riduzione dei benefici a carico dell’INPS,  nel limite di 2000 euro per l’anno 2020.

 

Approfondimenti

L’adozione dei protocolli di sicurezza: come si difende l’azienda?

In questo periodo, stanno pervenendo presso il nostro studio varie richieste, da parte delle aziende, relative alla possibilità di impugnare vari provvedimenti: dai decreti e regolamenti governativi alle ordinanze ed ai provvedimenti amministrativi delle amministrazioni territoriali.

Norme e provvedimenti amministrativi.

A causa dell’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus Cd. Covid 19 stiamo assistendo ad una elevata produzione normativa e provvedimentale, nel cui ambito sono sicuramente ricompresi anche vari provvedimenti regionali e comunali.

Infatti, in attuazione dei provvedimenti normativi (leggi, decreti e regolamenti, non impugnabili davanti al giudice amministrativo, ma contestabili solo in via incidentale nell’ambito di un giudizio per illegittimità costituzionale), sono stati emanati innumerevoli provvedimenti dagli enti locali che stanno adottando misure restrittive sensibilmente diverse sul territorio, sia per i privati, sia per le aziende.

A titolo esemplificativo: con ordinanze comunali sono stati limitati gli ingressi da parte dei cittadini all’interno di market, supermarket e minimarket ad un massimo di due accessi settimanali e per un solo membro per nucleo familiare.

Ancora: sono state emanante ordinanze limitative delle uscite dall’abitazione ad una sola volta al giorno, autorizzando sempre un solo componente nucleo familiare, per recarsi in panifici, macellerie, pescherie, negozi di ortofrutta.

A fronte di provvedimenti di tale tenore, varie associazioni di categoria e gruppi di imprenditori hanno promosso impugnazioni avanti ai Tar di competenza territoriale.

Sennonché, in via generale, la giurisprudenza amministrativa maggioritaria si sta orientando verso il rigetto di tali ricorsi, rilevando che le ordinanze contingibili e urgenti impugnate sono state adottate in presenza dei presupposti di necessità e urgenza in materia sanitaria e che le stesse non si pongono in contrasto con le disposizioni dettate a livello nazionale e regionale, posto che gli impugnati provvedimenti si limitano a rendere più stringenti alcune delle misure prese a livello nazionale e regionale “con il dichiarato fine di evitare che il contagio nell’ambito comunale possa diffondersi attraverso comportamenti delle persone non in linea con l’obiettivo di limitare al massimo gli spostamenti e le uscite dalla propria abitazione per l’approvvigionamento dei necessari beni” (Tar Sardegna, decreto 7 aprile 2020, n. 122).

Il giudice amministrativo in sostanza, applica un bilanciamento tra i diritti fondamentali in gioco nel caso in esame, quali la libertà di circolazione, la riservatezza e, chiaramente, il diritto alla salute.

In particolare, il Consiglio di Stato (Sez. III, decreto 30 marzo 2020, n. 1553) ha espressamente valutato il diritto alla salute pubblica come valore superiore alla libertà di movimento, alla privacy e al lavoro, ritenendo che nella valutazione tra contrapposti interessi (rectius, diritti fondamentali), a fronte della compressione di alcune libertà fondamentali, deve essere accordata prevalenza alle misure volte a tutelare la salute pubblica.

A ciò ci aggiunga una valutazione di tipo strettamente pratico: l’evoluzione dell’attuale situazione emergenziale è talmente repentina da rendere spesso inattuali i provvedimenti impugnati, i quali vengono sostituiti da atti successivi che modificano e sostituiscono l’atto impugnato.

Verbali e sanzioni amministrative.

Ben diversa, invece, è la fattispecie relativa all’impugnazione di verbali applicativi di sanzioni derivanti dalla mancata esecuzione delle misure di sicurezza per la prevenzione del Covid. 19.

Ci concentriamo, in particolare, sulle sanzioni elevate alle aziende per la mancata o non corretta applicazione dei protocolli di sicurezza. Come noto, chi esercita attività economiche, produttive e sociali deve rispettare le normative anti Coronavirus contenute nel Decreto Legge n. 33 del 16 maggio 2020, nel D.P.C.M. 17 maggio 2020, nei protocolli nazionali anti contagio di ogni settore e nelle ordinanze regionali.

Il Decreto Legge n. 33 del 16 maggio 2020 all’art. 1 comma 15 stabilisce che “Il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.

L’articolo 2 del Decreto Legge n. 33 del 16 maggio 2020, prevede che le violazioni delle disposizioni del presente decreto, ovvero dei decreti e delle ordinanze emanati in attuazione del presente decreto, sono punite con la sanzione amministrativa da 400 a 3.000 euro e, nei casi in cui la violazione sia commessa nell’esercizio di un’attività di impresa, si applica la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni.

Tali provvedimenti sanzionatori possono presentare vari profili di criticità, anche perché non è ancora chiaro quale valore probatorio possano assumere le dichiarazioni del titolare di un’azienda in merito alla corretta esecuzione dei protocolli di sicurezza.

L’accertamento è attività svolta da ufficiali e agenti di polizia giudiziaria o altri organi addetti al controllo, svolta mediante diretta osservazione che viene incorporata nel verbale.

La contestazione è la comunicazione fatta (immediatamente dopo l’accertamento) al destinatario della pendenza di un procedimento amministrativo sanzionatorio a suo carico. Ha la funzione di informare legalmente il soggetto circa la natura, il contenuto sanzionatorio e le modalità di estinzione dell’obbligazione e della possibilità di ricorso, per cui ha forma scritta è requisito sostanziale. Eventuali vizi del procedimento possono riferirsi alla mancanza degli elementi fondamentali come l’omessa indicazione delle modalità di estinzione della violazione. La validità del verbale di contestazione è condizione di procedibilità del procedimento sanzionatorio: una eventuale invalidità impatta sull’intero procedimento, tuttavia può essere sanata dall’organo accertatore con una nuova contestazione, da notificarsi entro i termini perentori previsti.

La notificazione, se non avvenuta nell’immediatezza dei fatti ed a mani del trasgressore, deve essere effettuata entro il termine perentorio di novanta giorni dall’accertamento.

Le sanzioni sono irrogate dal Prefetto del luogo dove è stato accertato il fatto, per quanto concerne la violazione delle misure previste dall’art. 1 del decreto-legge adottate tramite DPCM; quanto alla violazione delle misure adottate ex art. 3 dalle Regioni ovvero dai Sindaci, le sanzioni verranno irrogate dal Presidente della Regione o dal Sindaco competenti per territorio.

La procedura di impugnazione segue le regole di cui alla Legge di Depenalizzazione, come modificata dal decreto legislativo n. 150/2011, ed ha come oggetto l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto o da altra autorità di cui all’art. 3 del decreto-legge citato.

Naturalmente, l’azione dell’imprenditore che intende salvaguardare la salute altrui ed insieme la propria ripresa economica, non può prescindere dalla collaborazione dei propri dipendenti.

Pertanto, una volta che il datore di lavoro abbia adeguatamente informato i lavoratori in ordine alle disposizioni Protocollari, riveste certamente rilievo disciplinare, la violazione da parte del dipendente delle nuove regole.

A titolo esemplificativo, potrebbe trattarsi dell’obbligo di sottoporsi alla misurazione della temperatura corporea (ancorché ciò gli impedirà l’ingresso sul luogo di lavoro), la mancata adozione di comportamenti idonei al mantenimento del distanziamento sociale (ove il datore di lavoro abbia provveduto a consentire il distanziamento con idonei strumenti organizzativi), il mancato utilizzo della mascherina protettiva e dei presidi di igienizzazione delle mani, il rifiuto di aderire ad una differente e necessaria organizzazione della turnistica o degli orari di lavoro e così via.

A ciò si aggiunga che l’esercizio da parte del datore di lavoro della sorveglianza circa l’adozione da parte del dipendente delle misure di igiene e sicurezza sul lavoro non è una facoltà, ma un obbligo.

 

Approfondimenti

La responsabilità penale del datore di lavoro in caso di contagio da covid-19 dei propri dipendenti.

Come noto, il D. Lgs. 81/2008 impone a ciascun datore di lavoro di adottare ogni misura necessaria per garantire la sicurezza dei propri dipendenti all’interno del luogo di lavoro o, in ogni caso, durante lo svolgimento delle mansioni lavorative.

All’interno del citato decreto legislativo, particolare importanza, anche ai fini che ci occupano, riveste l’art. 18 il quale obbliga il datore di lavoro, fra le altre cose, a:

garantire un’adeguata sorveglianza sanitaria dei propri dipendenti;
fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale;
richiedere l’osservanza da parte dei lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene nei luoghi di lavoro;
adottare misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza;
informare e formare i lavoratori dei rischi e delle disposizioni assunte in materia di protezione;

 

Cerchiamo quindi di capire come si concilia la responsabilità pervista dal T.U. in materia di sicurezza sul lavoro con il rischio che uno o più soggetti contraggano il virus Covid-19 all’interno del luogo di lavoro.

Ebbene, in caso di contagio da COVID-19 di un dipendente sussiste la possibilità per il datore di lavoro di essere considerato penalmente responsabile per i reati di lesioni personali gravi/gravissime (art. 590 c.p.) o di omicidio colposo (589 c.p.) – aggravati dalla violazione delle norme antinfortunistiche – nel caso in cui il lavoratore abbia contratto il COVID-19 nel luogo di lavoro ed in conseguenza della mancata adozione da parte del datore di lavoro di adeguate misure di prevenzione e protezione.

A tal proposito, si segnala che la prova che il contagio sia avvenuto all’interno del luogo di lavoro (prova che deve essere fornita dal lavoratore) sarà particolarmente complessa nel caso in cui il contagio sia unico, mentre sarà pressoché presuntiva in caso di contagio di due o più lavoratori.

Non solo. I reati appena descritti sono anche considerati dal D. Lgs. 231/2001 reati presupposto della responsabilità della società che, quindi, potrà essere colpita da sanzioni pecuniarie e interdittive nel caso in cui l’evento lesivo o la morte del lavoratore si siano verificati nell’interesse o a vantaggio dell’ente (che potrebbe aver tratto un evidente vantaggio economico dall’omettere di adottare misure di protezione dei lavoratori).

Ma cosa può fare il datore di lavoro per evitare di incorrere in responsabilità penali?

La parola d’ordine sembra essere prevenzione.

E’ dunque fondamentale che il datore di lavoro provveda a:

adottare e seguire il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure
per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” sottoscritto dalle parti sociali in data 14/03/2020 integrato in data 26/04/2020. Per le aziende che prevedono flussi di lavoratori (ad es. autotrasporto) si raccomanda anche l’adozione del Protocollo del 20/03/2020, mentre per i cantieri si raccomanda l’adozione anche del Protocollo sottoscritto lo scorso 24/04/2020;
adeguare, in collaborazione con l’RSPP e il Medico Competente, ove presenti, il DVR aziendale ed il Modello di Organizzazione e Gestione ex D. Lgs. 231/2001, assumendo protocolli di sicurezza anti-contagio;
consegnare a tutti i dipendenti adeguati dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti);
favorire il più possibile lo smart working e, ove ciò non sia conciliabile con lo svolgimento dell’attività aziendale, garantire la distanza minima fra i lavoratori. Ove anche questa misura non sia concretamente attuabile l’azienda dovrà dotarsi di strumenti volti a limitare il più possibile il contatto tra i lavoratori (ad esempio, ricorrendo a pareti in plexiglass tra una postazione di lavoro e l’altra);
procedere ad una sanificazione periodica degli ambienti di lavoro;
mettere a disposizione dei lavoratori soluzioni disinfettanti da poter utilizzare durante l’orario lavorativo;
contingentare l’accesso a spazi comuni (spogliatoi, mense, ecc.);

Si rileva inoltre che ciascuna Regione potrà adottare specifici Protocolli di prevenzione.

Pertanto, anche in considerazione delle peculiarità di ogni specifica realtà aziendale, si raccomanda di ricorrere a professionisti in grado di consigliare e guidare il datore di lavoro in questo delicato momento.

 

 

 

 

 

 

 

Approfondimenti Contrattualistica d'impresa

I contratti di locazione durante l’emergenza COVID-19

Nell’ambito dell’attuale emergenza causata dal COVID-19 ed a fronte della chiusura imposta alle attività commerciali non essenziali, ha assunto rilevanza centrale la questione del pagamento dei canoni di affitto dei locali delle attività.
Gli interventi governativi hanno avuto una portata molto limitata nella gestione dei rapporti tra conduttore e locatore, non offrendo effettivi strumenti di sostegno e soprattutto linee chiare per il contemperamento delle diverse esigenze.

L’intervento si è limitato all’art. 65 D.L. Cura Italia che ha previsto testualmente il riconoscimento di un credito d’imposta «nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione di marzo 2020» ai soggetti esercenti attività d’impresa nell’ambito della quale risulta condotto in locazione un immobile in categoria catastale C/1. Ancorché la disposizione si riferisca, genericamente, al 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, la stessa ha la finalità di ristorare il soggetto dal costo sostenuto costituito dal predetto canone, sicché in coerenza con tale finalità il predetto credito maturerà a seguito dell’avvenuto pagamento, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con circolare 8/E del 03.04.2020, che ha stabilito che è necessario che sia avvenuto l’effettivo esborso finanziario. Pertanto, qualora il conduttore non abbia corrisposto le somme o ne ritardi il pagamento in accordo con il locatore, non maturerebbe alcun credito d’imposta.

Per quanto riguarda le misure adottate dalle Casse dei professionisti iscritti agli Ordini, con riferimento al tema delle locazioni, gli interventi non sono stati particolarmente incisivi, nonostante il canone di locazione sia un costo di grande impatto sulle attività professionali, che stanno subendo un forte rallentamento nei mesi dell’emergenza. Di rilievo, la misura adottata dalla Cassa forense che ha previsto due bandi straordinari per l’erogazione di contributi per canoni di locazione per lo studio professionale, l’uno riservato a conduttori persone fisiche e l’altro riservato a Studi Associati e Società tra Avvocati con uno stanziamento complessivo di 5.600.000,00 euro. I bandi prevedono il rimborso del 50 per cento dei canoni corrisposti nel periodo 1° febbraio – 30 aprile 2020.

Fatte le predette eccezioni, per comprendere come possono essere gestite le varie situazioni emergenziali, occorre far riferimento alla normativa codicistica ed alla norma di carattere generale cui all’art. 91 DL Cura Italia, rubricata “Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici” che prevede espressamente al primo comma: “All’articolo 3 del decreto – legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: “6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”.

In assenza di ulteriori e più ampie disposizioni, possiamo operare una distinzione tra le ipotesi in cui il conduttore disponga parzialmente di liquidità necessaria a far fronte al pagamento e le ipotesi in cui non vi sia alcuna disponibilità di liquidità.

Nell’ipotesi in cui vi sia liquidità a disposizione l’azione più efficace è quella di un accordo tra inquilino e locatore per la rimodulazione della misura del canone pattuito, che potrà operare in concreto con una semplice modifica al precedente contratto anche mediante corrispondenza email, i cui nuovi termini dovranno essere comunicati all’Agenzia delle Entrate (Ufficio territoriale presso cui il contratto era stato registrato) con Modello 69 contente gli estremi del contratto di locazione originario, come risultanti dalla ricevuta RLI, con esenzione di imposta di bollo e registro.

In caso di indisponibilità della liquidità sufficiente per pagare il canone, il conduttore potrà, nel caso in cui non sia raggiunto un accordo tra le parti, avvalersi delle norme del codice civile e richiedere una proroga o ritardare l’adempimento. Qualora l’interesse sia quello di preservare il rapporto contrattuale, le norme che vengono in soccorso sono le seguenti:
• Art. 1256 c.c.: impossibilità temporanea assoluta di adempiere alla prestazione;
• Art.1258 c.c.: impossibilità parziale di rendere la prestazione dovuta (quando la stessa sia divenuta impossibile solo in parte. In questo caso il debitore (conduttore) si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile.
• Art. 1218-1223 c.c.: giustificato ritardo nell’adempimento dell’obbligazione del debitore, rafforzato dalla previsione sopra citata dell’art. 91 D.L. Cura Italia.
Qualora invece, il conduttore valuti che vi sia effettiva impossibilità di proseguire il rapporto contrattuale, la norma di riferimento è la seguente:
• Art. 1467 c.c.: risoluzione anticipata del contratto considerando come giusta causa la sopraggiunta eccessiva onerosità del canone.

In conclusione, è evidente che è assolutamente fondamentale una valutazione caso per caso delle singole posizioni e che allo stato, viste anche le esigue misure di sostegno previste, l’opzione preferibile è comunque quella di un accordo tra le parti per una riduzione del canone di locazione in questo periodo di difficoltà dovuto all’emergenza coronavirus, contemperando entrambi gli interessi coinvolti.