Approfondimenti

Cosa cambia in materia di appalti nel 2020: nuovi obblighi e sanzioni a carico di committente e appaltatori

Come ormai noto agli operatori del settore, il Decreto fiscale 2020 (D.L. n. 124/2019), come modificato dalla Legge di conversione L. n. 157/2019 ha introdotto importanti novità in tema di appalti con decorrenza a far data dal 31 gennaio 2020, imponendo ai committenti una serie di oneri aggiuntivi, finalizzati a controllare e garantire il regolare adempimento dei versamenti delle ritenute fiscali da parte delle imprese appaltatrici a cui, nell’ambito della propria attività, hanno affidato in outsourcing lavori, opere o servizi.

Vediamo nel dettaglio in cosa consistono tali novità, in quali casi si applicano e da quando si applicano, nonché che tipo di conseguenze comporta la loro violazione.

Ambito di applicazione

Iniziamo con il dire che le novità normative introdotte dall’art. 4 del D.L. 124/2019 e riportate integralmente nell’art. 17 bis del D.lgs. n. 241/1997 si applicano alle seguenti tipologie contrattuali: tutti i contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati, nei quali l’affidamento del compimento di una o più opere o di uno o più servizi sia di importo complessivo annuo superiore a euro 200.000 rispetto ad una singola impresa committente, caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente o con utilizzo di beni strumentali dello stesso committente o ad esso riconducibili in qualunque forma.

Deve trattarsi, quindi, di contratti di una certa rilevanza economica (non inferiori ad € 200.000 annui) nonchè caratterizzati per essere “labour intensive” in quanto, come detto svolti o effettuati con prevalente utilizzo di manodopera, presso le sedi del committente e/o con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà del committente.

La norma, inoltre si riferisce, come chiarito anche dalla Circolare dell’AE 1/E/2020 del 12 Febbraio 2020, da un punto di vista soggettivo, ai soggetti residenti in Italia ai fini delle imposte sui redditi e pertanto, stante l’espresso richiamo all’art. 23 del D.P.R. n. 600 /1973, nel novero rientrano:

enti e società indicati nell’articolo 73, comma 1, del TUIR;
società e associazioni indicate nell’articolo 5 del TUIR;
persone fisiche che esercitano imprese commerciali ai sensi dell’articolo 55 del TUIR o imprese agricole;
persone fisiche che esercitano arti e professioni;
curatore fallimentare e commissario liquidatore;
condominio

Sono pertanto esclusi dall’applicazione della norma i soggetti non residenti, senza stabile organizzazione in Italia, nonché i soggetti residenti che non esercitano attività d’impresa o non esercitano imprese agricole o non esercitano arti o professioni, ad esempio i condomìni, in quanto tali soggetti non detengono beni strumentali e dunque non possono esercitare alcuna attività d’impresa o agricola o attività professionale. Per le medesime ragioni sono esclusi dall’ambito di applicazione gli enti non commerciali (enti pubblici, associazioni, trust ecc.) limitatamente all’attività istituzionale di natura non commerciale svolta.

 

La deroga prevista dall’ art. 17 bis, comma 5 del lgs. n. 241/1997

 

Fermo restando l’ampio raggio di applicazione delle nuove norme introdotte, l’art. 17 bis comma 5 ha previsto e disciplinato una ipotesi di esonero di applicazione dell’intera nuova disciplina per quelle imprese appaltatrici o affidatarie o subappaltatrici che comunichino al committente, allegando la certificazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate, di possedere cumulativamente i seguenti requisiti:

– risultino in attività da almeno tre anni;

– siano in regola con gli obblighi dichiarativi;

– abbiano eseguito nel corso dei periodi d’imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio versamenti complessivi, registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10% dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni stesse;

– che non abbiano iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all’Irap, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori a 50 mila euro, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione.

L’Agenzia delle entrate, con la recente circolare 1/E/2020 ha chiarito che, su richiesta delle aziende interessate e previa verifica dei requisiti metterà la certificazione (DURF), valida quattro mesi dalla data del rilascio, a disposizione delle singole imprese a partire dal terzo giorno lavorativo di ogni mese. Inoltre, si chiarisce che nel caso in cui il committente sia una pubblica amministrazione la sussistenza dei requisiti potrà essere oggetto di autocertificazione.

 

I nuovi obblighi previsti a carico delle parti

Per quanto concerne i nuovi obblighi previsti dall’art. 17 bis, la disposizione prevede che le imprese committenti rientranti nell’ambito di applicazione come sopra delineato, sono onerate a richiedere all’impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici, obbligate a rilasciarle, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute fiscali trattenute ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio.

In particolare per poter consentire al committente la regolarità delle certificazioni, le imprese appaltatrici o affidatarie e le imprese subappaltatrici dovranno provvedere entro cinque giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento a fornire al committente un elenco dettagliato contenente:

– le deleghe di pagamento, sopra menzionate;

– i nominativi di tutti i lavoratori, identificati mediante codice fiscale, impiegati nel mese precedente direttamente nell’esecuzione di opere o servizi affidati dal committente;

– il dettaglio delle ore di lavoro prestate da ciascun dipendente in esecuzione dell’opera o del servizio affidato;

– l’ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione

– il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti di tale lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente.

Per arginare il fenomeno degli omessi versamenti, la normativa inoltre, esclude la possibilità di compensazione delle ritenute relative ai redditi di lavoro dipendente e assimilati da parte delle imprese appaltatrici, affidatarie e subappaltatrici che eseguono opere e servizi rientranti nel perimetro della disciplina. Al riguardo l’Agenzia delle Entrate con la circolare 1/E del 12 febbraio 2020 ha chiarito che il divieto di compensazione non è applicabile per i crediti maturati dall’impresa in qualità di sostituto d’imposta (ad esempio rimborsi da 730, eccedenze di versamento o di ritenute, bonus 80 euro).

In caso di mancato adempimento da parte di queste ultime degli obblighi di trasmissione di cui sopra entro il termine di 5 giorni o nel caso di omesso versamento delle ritenute fiscal, il comma 3 dell’art. 17-bis introduce l’obbligo per il committente di sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice o affidataria

In sostanza il Committente deve sospendere, finché perdura l’inadempimento, il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice o affidataria sino a concorrenza del 20% del valore complessivo del servizio o dell’opera ovvero per un importo pari alle ritenute non versate come risultante dai dati delle comunicazioni trasmesse.

Inoltre ne deve dare comunicazione entro 90 giorni all’Agenzia delle Entrate.

A tal proposito sempre nelle indicazioni fornite dall’AE nella circolare 1/E/2020, si afferma che il committente dovrà effettuare una valutazione di “congruità” , verificando che la retribuzione oraria corrisposta a ciascun lavoratore non sia manifestamente incongrua rispetto all’opera prestata dal lavoratore. Ancorché il riscontro dovrà basarsi su elementi cartolari (ad esempio, sulla verifica della corrispondenza tra le deleghe di versamento e la documentazione fornita), lo stesso dovrà essere accompagnato da una valutazione finalizzata a verificare, tra l’altro, la coerenza tra l’ammontare delle retribuzioni e gli elementi pubblicamente disponibili (come nel caso di contratti collettivi), l’effettiva presenza dei lavoratori presso la sede del committente.

Per esigenze di semplificazione, limitatamente alla verifica sulle ritenute, la circolare chiarisce che queste ultime non si considerano manifestamente incongrue allorché siano superiori al 15 per cento della retribuzione imponibile ai fini fiscali.

 

Profili sanzionatori a carico del committente

Nel caso in cui il committente non adempia agli obblighi previsti a suo carico, il successivo quarto comma della nuova disposizione normativa dispone l’applicabilità di una sanzione per il committente pari a quella irrogata all’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice per la corretta determinazione ed esecuzione delle ritenute, nonché per il tempestivo versamento delle medesime. Il committente è, dunque, tenuto a versare una somma calcolata e riferita alla quota parte di ritenute fiscali – riferibili ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio presso il medesimo – non correttamente determinate, eseguite e versate.

Si tratta, in particolare, delle sanzioni previste dall’articolo 14 del D.Lgs. 471/97 in caso di mancata esecuzione delle ritenute (sanzione pari al 20% degli importi non trattenuti) e dall’articolo 13 del D.Lgs. 471/97 per l’omesso o ritardato versamento delle ritenute stesse (pari al 30% dei versamenti non effettuati).

In sostanza, il committente sarà soggetto a una sanzione in misura corrispondente a quella irrogata all’impresa che ha commesso la violazione. La sanzione sarà applicabile qualora il committente non abbia richiesto la prova del pagamento delle ritenute eseguite dall’impresa, non abbia sospeso il pagamento dei corrispettivi in caso di eventuali inadempimenti oppure abbia omesso di segnalarli all’Agenzia delle Entrate.

Non si tratta dunque di un regime di responsabilità solidale (come già previsto per le obbligazioni contributive dall’articolo 29 del D.Lgs. n. 276/2003); piuttosto l’intervento normativo deve essere contestualizzato nell’ambito di una serie di disposizioni finalizzate a contrastare le false compensazioni e ad attribuire in capo ai soggetti committenti un ruolo di controllo sull’esecuzione dei versamenti delle ritenute fiscali in alcuni settori particolarmente critici.

Considerata la natura sanzionatoria della disposizione in commento, la circolare 1/E/2020 ha chiarito che restano fuori dall’ambito di applicazione della stessa tutte le altre violazioni tributarie da parte dell’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice non espressamente menzionate (ad esempio, la violazione degli obblighi dichiarativi in qualità di sostituto d’imposta di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 471 del 1997).

Decorrenza

Rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 17-bis le ritenute operate sugli emolumenti di competenza gennaio 2020. I nuovi obblighi troveranno applicazioni con riferimento alle ritenute operate nel mese di gennaio 2020 e quindi relativamente ai versamenti da effettuare entro il 17 febbraio 2020 anche con riguardo a contratti di appalto, affidamento o subappalto stipulati in un momento antecedente al 1°gennaio 2020.

 

Considerazioni conclusive

Stante l’impianto innovativo introdotto con le norma sopra ripercorse, si suggerisce alle imprese operanti nel settore degli appalti pubblici o privati un’attenta valutazione dei propri contratti, già attualmente in essere nonché in corso di stipula o contrattazione, rendendosi opportuna, soprattutto in considerazione delle conseguenze sanzionatorie a carico delle imprese committenti, l’introduzione all’interno dei contratti di clausole specifiche o appendici aggiuntive aventi ad oggetto i nuovi obblighi a carico delle imprese appaltatrici, sub appaltatrici o affidatarie di opere o servizi, al fine di responsabilizzare queste ultime anche nell’ambito dei rapporti contrattuali tra le parti.

Firenze Legale è a disposizione delle aziende per una valutazione e consulenza sui contratti di appalto e per apprestare la migliore tutela dei vostri interessi.

 

 

Approfondimenti Contrattualistica d'impresa

E-commerce: consigli per la predisposizione delle condizioni di vendita

Il contratto di vendita online, che si costituisce al momento della conferma dell’ordine, è disciplinato dalle condizioni generali di vendita.

Le linee guida da seguire per impostare la struttura e definire il contenuto delle clausole che compongono tali condizioni di vendita, si ricavano dal codice civile, dal D. Lgs n. 70 del 9 aprile 2003 (che ha recepito la normativa europea sul commercio elettronico – Direttiva 200/31/CE della Comunità Europea) e dal D. Lgs n. 206 del 6 settembre 2005 (Codice del Consumo).

E’ inoltre opportuno segnalare il Regolamento UE 2018/302 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 febbraio 2018 (c.d. “Regolamento Geo-Blocking”) che impone a chi offre sul mercato beni o servizi tramite mezzi elettronici (e-commerce) di non attuare alcun tipo di discriminazione tra gli utenti fondata sulla nazionalità degli stessi, che si ripercuota sulle condizioni di vendita. Per approfondimenti su tale aspetto si rimanda all’articolo di Firenze Legale “Regolamento UE sul geoblocking e gli effetti sull’e-commerce” .

Se da un lato il D. Lsg 70/2003 stabilisce il principio di libero accesso del prestatore del servizio all’attività di vendita online in qualsiasi Stato membro senza necessità di autorizzazione preventiva nello Stato prescelto, dall’altro la stessa normativa impone al prestatore alcuni OBBLIGHI INFORMATIVI:

Innanzitutto il prestatore deve rendere facilmente accessibili, in modo diretto e permanente, sia ai destinatari del servizio che alle Autorità, una serie di informazioni che consentono la sua esatta individuazione (denominazione, sede legale, identificativo REA, partita Iva, contatti, iscrizione a determinati registri etc.).
Per quanto concerne la fase di pubblicazione online del prodotto o del servizio offerto, il prestatore deve fornire in modo chiaro, comprensibile ed inequivocabile, prima dell’inoltro dell’ordine da parte del destinatario del servizio, tutta una serie di dati: informazioni relative alle fasi tecniche da seguire per la conclusione del contratto, modalità di archiviazione e di accesso al contratto concluso, mezzi di individuazione e correzione degli errori di inserimento dei dati al momento dell’invio dell’ordine, accesso a codici di condotta, lingue per la conclusione del contratto e strumenti di composizione delle controversie.
E’ inoltre previsto dal D. Lgs 70/20013 che le clausole e le condizioni generali del contratto proposte al destinatario, debbano essere messe a sua disposizione in modo che gli sia consentita la memorizzazione e la riproduzione.

 

Andando ad analizzare nel dettaglio le condizioni di vendita alla luce della normativa sopra richiamata, vediamo come devono essere strutturate e cosa devono contenere le singole clausole.

 

INFORMAZIONI GENERALI

Tale sezione deve contenere le informazioni complete del merchant che consentano la sua esatta individuazione nonché i riferimenti al tipo di contratto concluso con l’acquirente (contratto a distanza) e la disciplina applicabile alla vendita.

Nel caso in cui sia presente un servizio di customer service si può far riferimento ai contatti ed alle modalità con cui i clienti possono far pervenire eventuali richieste o reclami.

Possono essere specificate anche informazioni generali sui prodotti offerti nella vendita online, come a titolo esemplificativo: le modalità di rappresentazione (immagini e contenuti descrittivi), indicazione della valuta in cui sono espressi i prezzi e le conseguenze di eventuali modifiche intervenute sugli stessi.

 

REGISTRAZIONE ACQUIRENTE

Un aspetto importante è costituito dal dettaglio delle regole che l’acquirente deve seguire per procedere con la registrazione al sito web di riferimento. A titolo esemplificativo nelle condizioni di vendita viene specificato quanto segue:

obbligo dell’acquirente di aver compiuto 18 anni per procedere con l’acquisto;
impegno e garanzia dell’acquirente di fornire informazioni vere e precise nonché di essere autorizzato all’utilizzo dei mezzi di pagamento previsti per effettuare l’ordine;
richiesta di accettazione delle condizioni di vendita;
manleva del venditore da obbligo risarcitorio e/o sanzione derivante da e/o in qualsiasi modo collegata alla violazione da parte dell’acquirente delle regole sulla registrazione al sito o sulla conservazione delle credenziali di registrazione;
possibilità per il merchant di limitare l’acquisto alle sole persone fisiche che agiscono con finalità non riferibili alla propria attività commerciale, imprenditoriale o professionale;
diritto del merchant di rifiutare l’ordine ed eventuale specifica dei casi.

 

ORDINE

In questo articolo devono essere specificati dal merchant i passaggi che l’utente deve seguire per l’invio dell’ordine.

È necessario tenere presente che, nella maggior parte dei casi, il periodo intercorrente tra l’invio dell’ordine e la spedizione del prodotto, può essere suddivisa in due fasi:

conferma dell’invio dell’ordine: in tale fase il merchant riceve ed acquisisce tutte le informazioni fornite dal cliente durante la registrazione e verifica i prodotti che sono stati scelti per l’acquisto; ma si tratta di un periodo intermedio nel quale c’è ancora la possibilità per il merchant di rifiutare l’ordine (ad es. per non disponibilità del prodotto, per informazioni non vere fornite dall’acquirente o altro);
conclusione del contratto: una volta accertate tutte le condizioni preliminari, se il merchant intende procedere con la spedizione del prodotto conferma la conclusione del contratto, fornendo generalmente i dettagli della consegna (specifica del corriere e numero di tracciamento).

 

PAGAMENTO

Il merchant deve specificare nelle condizioni di vendita le modalità di pagamento ammesse:

carta di credito o di debito;
contrassegno;
bonifico bancario;
paypal;
pagamento a rate.

Nella sezione dedicata al pagamento il merchant deve fare particolare attenzione alle condizioni contrattuali pattuite con le piattaforme dei vari strumenti di pagamento. È opportuno infatti che vengano riportate nel dettaglio le istruzioni fornite dalle varie piattaforme, affinché gli acquirenti possano conoscerne il contenuto prima di accedere al servizio.

Generalmente il merchant, prima di procedere con la preparazione dell’ordine, svolge un controllo standard di verifica dei dati forniti e di pre-autorizzazione della modalità di pagamento scelta dall’acquirente, per assicurarsi la correttezza dei dati e la sussistenza di fondi sufficienti per compiere la transazione.

 

CONSEGNA

All’acquirente devono essere fornite tutte le informazioni necessarie per determinare i tempi ed i costi della consegna del prodotto scelto, con eventuale differenziazione di prezzo in caso di differenti termini di consegna.

Tali specifiche dipendono dallo svolgimento dei servizi di logistica e di spedizione e dalle condizioni contrattuali definite con i relativi fornitori. È opportuno su tale profilo porre l’attenzione sulle responsabilità del fornitore, sulle limitazioni di responsabilità e soprattutto sulle coperture assicurative che possono essere concesse.

Un sistema di vendita particolarmente diffuso è il “drop ship”(anche conosciuto come drop shipping o dropshipping) che consiste in un modello di vendita in cui il merchant vende il prodotto all’utente, senza possederlo materialmente nel proprio magazzino. Il venditore, effettuata la vendita, trasmetterà l’ordine al fornitore che in questo caso viene chiamato “dropshipper”, il quale si occuperà della preparazione e spedizione del prodotto direttamente all’utente finale. In questo modo, il merchant dovrà preoccuparsi esclusivamente della pubblicazione online dei prodotti e della visibilità degli stessi, senza doversi occupare di tutte le incombenze legate ai processi di imballaggio e spedizione.

Per chi dispone di negozi monomarca è inoltre possibile attivare l’opzione di consegna con modalità cosiddetta “Click and Collect”, ovvero mediante ordine inviato dal sito web e ritiro del prodotto direttamente presso il punto vendita scelto dall’acquirente.

 

DIRITTO DI RECESSO – RESO

Il merchant, secondo le prescrizioni dettate dal codice del consumo, ha l’obbligo di informare l’acquirente circa l’esistenza del diritto di recesso, nonché l’onere di metterlo in condizione di poter esercitare tale facoltà rendendogli disponibile una esauriente spiegazione sulle fasi che regolano la procedura.

ll consumatore ha 14 giorni per recedere dal contratto di vendita senza necessità di specificare i motivi che hanno determinato il recesso.

Il merchant deve pertanto specificare nelle condizioni di vendita tutti i dettagli relativi alla procedura che il cliente deve seguire per comunicare la volontà di recedere nonché le modalità per restituire il prodotto e per ottenere il rimborso delle somme versate al momento dell’acquisto, all’esito delle verifiche effettuate sull’integrità del prodotto stesso.

Il codice del consumo ammette dei casi di esclusione del diritto di recesso per gli acquisti a distanza, in via esemplificativa:

la fornitura di beni personalizzati o confezionati su misura;
la fornitura di beni deteriorabili;
la fornitura di beni sigillati che non si prestano alla restituzione dopo l’apertura;
la fornitura di giornali, riviste e periodici;
la fornitura di video/audio/software consegnati sigillati e che siano stati aperti.

 

GARANZIA DI CONFORMITA’

Un’altra tutela che il Codice del Consumo riconosce al consumatore è la cosiddetta garanzia legale (o garanzia di conformità) la quale impone al venditore di consegnare all’acquirente beni conformi al contratto di vendita. Un bene è “conforme” quando:

è idoneo all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo;
corrisponde alla descrizione fatta dal venditore;
possiede le qualità indicate dal venditore nonché quelle abituali per beni dello stesso tipo;
è idoneo all’uso particolare voluto dal consumatore se questi lo ha portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto.

Se il bene ha dei difetti e/o non possiede queste caratteristiche, il consumatore è tutelato dalla garanzia di legge la quale gli dà diritto di chiederne, a sua scelta, la sostituzione o la riparazione.

Ai fini della garanzia legale, il difetto deve manifestarsi entro due anni dalla consegna del bene e deve essere segnalato al venditore entro due mesi dalla sua scoperta.

In relazione a tale profilo il merchant è tenuto ad osservare gli obblighi informativi, mettendo l’acquirente in condizione di conoscere tale garanzia di legge precisando in maniera chiara l’oggetto della garanzia, le modalità ed i termini entro cui il difetto deve essere segnalato.

 

PRIVACY

Con l’entrata in vigore del GDPR a maggio 2018 è stato imposto un obbligo di informativa nei confronti del cliente anche per quanto concerne il trattamento dei suoi dati personali. È pertanto doveroso specificare nella sezione “privacy”:

quali informazioni vengono raccolte e conservate;
chi ha accesso a questi dati personali.
dettagli di contatto del responsabile della protezione dei dati, assegnato dalla tua organizzazione;
modalità di presentazione di una richiesta di accesso ai dati;
tempi di conservazione delle informazioni personali e modalità di cancellazione.

 

LEGGE APPLICABILE E FORO COMPETENTE

Se si tratta di contratto di vendita concluso in Italia verrà fatto riferimento alla legge italiana.

Per la risoluzione delle controversie il merchant può indicare un foro specifico competente. È opportuno precisare che in caso di acquisto fatto da “consumatore” sarà competente il foro del luogo in cui l’utente risiede o ha eletto domicilio.

Approfondimenti

Il decreto Milleproroghe 2020: le principali novità per le aziende.

È entrato in vigore il 31 dicembre 2019 il decreto legge 162 del 30 dicembre 2019 “Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica”.

Oltre alle consuete proroghe di fine anno, sono presenti ulteriori disposizioni alcune delle quali erano state espunte dalla legge di bilancio 2020.

Firenze Legale ha riassunto le norme più rilevanti per le Aziende e le Amministrazioni Pubbliche.

Prescrizione dei contributi per i dipendenti pubblici: sono prorogati al 31 dicembre 2022, per i lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche, i termini di prescrizione delle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria relativi ai periodi di competenza fino al 31 dicembre 2015;
Proroga al 31 dicembre 2021 della scadenza per le amministrazioni pubbliche per assumere a tempo indeterminato il personale non dirigenziale che possegga i requisiti previsti dall’art. 20 comma 1 del cosiddetto decreto Madia, Decreto Legislativo 75/17, ossia: a) risultare in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 (28 agosto 2015) con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione; b)essere stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione; c) aver maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni a tempo determinato;
Proroga al 31 dicembre 2020 il termine per i pagamenti da parte degli enti locali degli interventi di messa in sicurezza, manutenzione e ristrutturazione di edifici scolastici, previsti dal Decreto del “Fare” (Decreto Legge 69/13);
Bonus verde: viene prorogato per tutto il 2020 il bonus verde (o green bonus) del 36 per cento. Gli interventi ammessi all’incentivo sono diverso tipo, quali: sistemazione a verde di aree scoperte di edifici esistenti, di unità immobiliari, pertinenze o recinzioni; impianti di irrigazione e realizzazione di pozzi; realizzazione di coperture a verde e giardini pensili.
Viene prorogato il termine per l’adeguamento antincendio delle strutture ricettive turistico-alberghiere localizzate nei territori colpiti dagli eccezionali eventi meteorologici che si sono verificati a partire dal 2 ottobre 2018. Si tratta dei territori delle Regioni Calabria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Toscana, Sardegna, Sicilia, Veneto e delle Province Autonome di Trento e Bolzano in cui è stato dichiarato lo stato di emergenza con delibera del Consiglio dei ministri 8 novembre 2018, nonché i territori del Centro Italia colpiti dai sismi del 24 agosto 2016 e del 21 agosto 2017. Per tutte le strutture turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto, in possesso dei requisiti per l’ammissione al piano straordinario di adeguamento antincendio e situate nei territori menzionati, il termine per il completamento dell’adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi è prorogato al 30 giugno 2022, previa presentazione entro il 31 dicembre 2020 della Scia parziale al Comando provinciale dei vigili del fuoco competente per territorio;
Per assicurare servizi di trasporto aggiuntivi nella città di Genova, resisi necessari in seguito al crollo del Ponte Morandi, vengono raddoppiate le risorse straordinarie attribuite a tale scopo alla Regione Liguria. Viene stabilito che lo stato di emergenza consecutivo al crollo del 14 agosto 2018 possa essere prorogato fino ad una durata complessiva di tre anni.
Tariffe Autostrade: proroga al 31 luglio 2020 dell’adeguamento delle tariffe autostradali.
L’obbligo di pagare i tributi dovuti alla PA esclusivamente tramite la piattaforma PAGOPA slitta al 1 luglio 2020;
Le norme sulla Class Action entreranno in vigore con una proroga di sei mesi, quindi a ottobre 2020.

La nuova disciplina prevede lo spostamento della class action dal Codice del consumo a quello Civile, cosa che estende la portata applicativa dell’istituto.

Infatti, la nuova class action è rivolta a tutti coloro che avanzano delle pretese risarcitorie, e non solamente ai consumatori e agli utenti. Sono legittimate anche le organizzazioni e le associazioni iscritte nell’apposito elenco pubblico istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico. I destinatari della nuova Class Action saranno dunque le imprese, gli enti, i gestori di servizi pubblici/di pubblica utilità che compiono atti e comportamenti illeciti nello svolgimento delle loro attività.

La norma attribuisce al Tribunale delle imprese la competenza a decidere in materia di class action.

Le fasi procedimentali della novella class action saranno tre:

la decisione riguardo l’ammissibilità dell’azione;
la decisione nel merito;
la liquidazione delle somme.

Per aderire alla class action, il giudice stabilisce un termine perentorio che non potrà essere inferiore a 40 giorni e superiore a 150 giorni. La domanda va presentata mediante inserimento nel fascicolo informatico, disponibile sul sito del Ministero della Giustizia.

È stata inoltre introdotta un’azione inibitoria collettiva nei confronti di imprese, enti e gestori di servizi pubblici.

Inizialmente prevista per aprile 2020, non sono ancora state effettuate le modifiche necessarie per l’entrata in vigore.

 

Approfondimenti

Sgravi contributivi alle imprese e reddito di cittadinanza

A partire dal 15.11.2019 l’INPS ha pubblicato on line sul proprio sito istituzionale (www.inps.it) il modulo denominato “SRDC – sgravio reddito di cittadinanza” che consente alle imprese di richiedere lo sgravio contributivo in caso di nuove assunzioni di soggetti percettori del reddito di cittadinanza.

Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta e dei requisiti necessari per accedere all’agevolazione.

Il decreto legge n. 4 del 28.01.2019 convertito, con modificazioni dalla L. n. 26 del 28.03.2019, istituendo il c.d. reddito di cittadinanza per i cittadini, ha contestualmente introdotto un incentivo per i datori di lavoro che assumono con contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato i beneficiari di tale trattamento assistenziale. L’esonero riguarda il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore– con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL – nel limite dell’importo mensile del reddito di cittadinanza spettante al lavoratore all’atto dell’assunzione, con un tetto massimo mensile di 780 euro.

Durata: lo sgravio in questione ha una durata variabile a seconda del periodo di fruizione del reddito di cittadinanza (rdc) già goduto dal lavoratore neo assunto ed è pari alla differenza tra 18 mensilità (periodo massimo di durata del rdc) e le mensilità già godute dal beneficiario fino alla data di costituzione del rapporto di lavoro e comunque per un periodo minimo di cinque mesi.

Requisiti per ottenere e mantenere l’agevolazione contributiva: per poter ottenere e, soprattutto mantenere l’agevolazione ottenuto evitando la richiesta di restituzione del beneficio goduto, occorre che le imprese rispettino le seguenti condizioni, previste dai principi generali stabiliti in materia di incentivi all’assunzione dall’art. 31 d.lgs 150/2015 e in particolare:

L’impresa che assume deve realizzare e mantenere per l’intero periodo di fruizione del beneficio un incremento occupazionale del numero dei propri dipendenti a tempo indeterminato. Tale incremento, verrà verificato per i dodici mesi successivi all’assunzione agevolata, tenendo conto della media dei dipendenti occupati nell’azienda al termine di tale periodo. Nel caso in cui tale verifica postuma non sia positiva, perché ad esempio nell’arco dell’anno sono stati effettuati da parte dell’azienda uno o più licenziamenti o sono intervenute dimissioni di altri dipendenti abbassandosi in tal modo o rimanendo invariata rispetto all’anno precedente la media degli occupati, l’impresa sarà tenuta alla restituzione dell’incentivo goduto durante i mesi in cui tale requisito è venuto meno.
L’assunzione non deve costituire attuazione di un obbligo preesistente, quali a titolo esemplificativo il rispetto dell’obbligo di precedenza nelle assunzioni dei lavoratori che hanno prestato attività lavorativa all’interno dell’azienda con contratto a tempo determinato superiore a sei mesi e hanno manifestato la volontà di avvalersi dell’eventuale diritto di precedenza.
Coerentemente con il precedente requisito, si prevede che l’assunzione agevolata non violi il diritto di precedenza vantato da altri lavoratori.
Non devono essere in atto all’interno dell’azienda sospensioni del lavoro connesse ad una crisi o ad una riorganizzazione aziendale (CIG, CIGS, Contratti di solidarietà), a meno che il lavoratore neo assunto abbia un inquadramento e una qualifica diversa rispetto a quella posseduta dai lavoratori sospesi o sia destinato ad una diversa unità produttiva.
L’assunzione non deve riguardare lavoratori licenziati, nei sei mesi precedenti, da parte di un datore di lavoro che, alla data del licenziamento, presentava elementi di relazione con il datore di lavoro che assume, sotto il profilo della sostanziale coincidenza degli assetti proprietari ovvero della sussistenza di rapporti di controllo o collegamento.
L’ultimo requisito ma non per ordine di importanza, costituendo il più frequente motivo di richiesta di restituzione degli sgravi contributivi ottenuti dalle azienda consiste nel mantenimento per l’intero periodo di fruizione dell’agevolazione della regolarità contributiva del datore di lavoro ai sensi della normativa in materia di DURC, nell’assenza di violazioni delle norma fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro, oltre che nel rispetto degli altri obblighi di legge e discendenti dal CCNL. Tale condizione è di importanza fondamentale, in quanto il venir meno della regolarità contributiva anche per un solo mese durante l’intero periodo di fruizione o per un importo minimo anche inferiore rispetto alla somma delle agevolazioni godute, fa decadere l’intero sgravio goduto anche per il periodo precedente all’accertata irregolarità.

Modalità operativa: Per poter beneficiare dell’agevolazione in questione, sussistendone i requisiti, il datore di lavoro che intende effettuare l’assunzione, deve preventivamente comunicare la propria disponibilità all’assunzione e dei posti vacanti presso l’azienda, nella piattaforma digitale dedicata al reddito di cittadinanza presso l’ANPAL e successivamente all’assunzione del dipendente richiedere tramite compilazione del modulo on line SRDC procedere alla domanda telematicamente tramite il Portale Agevolazioni INPS, una volta trasmessa la domanda l’Istituto provvede a calcolare e comunicare la misura e la durata dell’incentivo e il piano di fruizione.

Cumulo con altre forme di incentivo all’occupazione: L’esonero contributivo in parola è compatibile e cumulabile, per espressa previsione legislativa, unicamente con il c.d. Bonus assunzioni nelle regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna) previsto dalla Legge di Bilancio 2018. Trattandosi di incentivi che prevedono, ambedue, l’esonero dal versamento dei contributi a carico del datore di lavoro e, per l’assunzione di beneficiari del Rdc, anche di quelli a carico del lavoratore, il comma 7 dell’articolo 8 del D.L. n. 4/2019 ha opportunamente previsto, in caso di esaurimento degli esoneri contributivi verificatosi a seguito del suddetto cumulo, la fruizione dell’incentivo per l’assunzione di beneficiari del Rdc sotto forma di credito di imposta.

L’esonero contributivo di cui all’articolo 8 del D.L. n. 4/2019 non è cumulabile con altri regimi agevolati né con alcun altro incentivo all’occupazione di natura economica. Pertanto, il datore di lavoro, ricorrendone i presupposti di legge, ha facoltà di decidere quale beneficio applicare, fermo restando che, in via generale, una volta attivatoil rapporto di lavoro sulla base dello specifico regime agevolato prescelto, non sarà possibile applicarne un altro.

Restituzione dell’incentivo fruito: come sopra accennato il mancato rispetto o il venir meno di una delle condizioni e requisiti durante l’intero periodo di fruizione del beneficio determina il diritto dell’INPS ad ottenere la restituzione dell’agevolazione, procedendo tramite richiesta di rettifica dei versamenti contributi e successivamente, in caso di mancato spontaneo pagamento tramite avviso di addebito.

L’articolo 8, commi 1 e 2, del D.L. n. 4/2019 prevede un’ulteriore ipotesi di restituzione nel caso in cui, nei trentasei mesi successivi all’assunzione del lavoratore beneficiario del reddito di cittadinanza il rapporto si interrompa per i seguenti motivi:

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, se il licenziamento viene dichiarato illegittimo
Dimissioni per giusta causa
Licenziamento per mancato superamento del periodo di prova
Recesso dal contratto di apprendistato al termine del periodo di formazione.

Ove si verifichi una di tale ipotesi, il datore di lavoro, sarà tenuto a restituire l’intero ammontare del beneficio fruito maggiorato di una sanzione civile.

Si ricorda, tuttavia che le richieste di restituzioni delle agevolazione avanzate dall’INPS non sono sempre legittime, essendo talvolta frutto di un difetto di interpretazione dei comportamenti aziendali o della illegittima equiparazione di casi che presentano specificità non correttamente considerate con altri evidentemente fraudolenti. Prima di effettuare il pagamento, vanificando le agevolazioni ottenute, si consiglia sempre un’attenta valutazione e una opportuna consulenza legale, come quella offerta dal nostro studio.

 

Approfondimenti

La tutela dell’azienda nell’ambito delle c.d. “truffe on line”

Accade sempre più spesso che si senta parlare di “truffe on line”.

Il fenomeno è sempre più diffuso e interessa una serie di comportamenti diversificati, dal classico “phishing” dei dati alla più aggressiva “digital extortion”, ai casi in cui, convinti di acquistare un prodotto di un marchio noto, in realtà, ci si trova ad acquistare un prodotto assai diverso.

Tale ultima fattispecie è quella che verrà affrontata, seppur brevemente e senza pretesa di esaustività considerata la complessità dell’argomento, nel presente contributo.

 

Ebbene, non di rado accade, durante i nostri acquisti on line, di imbatterci in siti internet che – apparentemente – commercializzano prodotti del nostro marchio preferito a prezzi estremamente concorrenziali.

Altrettanto non di rado accade che il consumatore poco attento, attratto dal prezzo vantaggioso, acquisti uno o più prodotti, convinto di aver fatto un ottimo affare. Affare che si rivelerà assolutamente inesistente nel momento in cui l’acquirente riceverà al proprio domicilio un prodotto diverso da quello che pensava di aver acquistato o, peggio ancora, non riceverà nulla.

 

Tale comportamento truffaldino si definisce plurioffensivo in quanto, da un lato, cagiona direttamente un danno al patrimonio del consumatore privato e, dall’altro, lede la regolare circolazione di beni e servizi e la fiducia che i soggetti privati pongono in un marchio e, dunque, nell’azienda che lo detiene, oltre che l’interesse patrimoniale dei titolari dei diritti di sfruttamento dei marchi e segni distintivi.

 

Da ciò consegue che, a livello penale, si possa parlare di una doppia tutela: da un lato, infatti, il consumatore sarà vittima del reato di truffa aggravata, dall’altro, la società che legittimamente detiene il marchio potrà essere vittima di uno dei reati di cui agli artt. 473 – 474 – 517 ter c.p..

 

Vediamo più da vicino di che cosa si tratta.

 

L’art. 473 c.p. punisce chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi, segni distintivi, brevetti, disegni o modelli industriali o chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi, segni distintivi, brevetti, disegno o modelli industriali.

 

In altri termini, la norma in commento sanziona la riproduzione abusiva di un marchio e degli altri oggetti materiali sopra individuati, idonea a confondere i consumatori circa la provenienza del prodotto.

 

L’art. 474 c.p., dal canto suo, punisce chiunque introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi contraffatti o alterati.

 

Infine, l’art. 517 ter c.p. prevede un’ipotesi residuale che sanziona chiunque, al di fuori delle ipotesi delittuose di cui agli articoli precedenti, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica, adopera industrialmente, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o pone in vendita oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso.

 

A ben vedere, dunque, le fattispecie, seppur apparentemente molto simili, sanzionano comportamenti diversificati che si pongono in contrasto con il legittimo diritto della società a non veder usurpato e/o contraffatto il proprio marchio o i segni distintivi che la contraddistinguono.

Peraltro, in questi casi, la società il cui interesse è stato leso dalle citate condotte delittuose potrà costituirsi parte civile nel processo penale e veder ristorato il danno patrimoniale e non patrimoniale subito.

 

In tali casi l’azienda può attivarsi con un’azione di monitoraggio costante sul web per rilevare eventuali irregolarità sugli annunci presenti su siti web e su social network che generalmente presentano documentazione fotografica e contenuti descrittivi estratti illegittimamente dal sito ufficiale del brand.

 

Una volta che la truffa viene individuata è opportuno accertare i profili del relativo dominio e procedere tempestivamente con una segnalazione on line alla polizia postale e con il deposito di una denuncia querela presso la competente Procura della Repubblica contenente il dettaglio dei siti web illegittimi e un’accurata descrizione della violazione.

 

Si consiglia infine di inviare una comunicazione ai social network per informare dell’avvenuto deposito della denuncia querela e chiedere il blocco e la rimozione degli annunci in questione.

 

Approfondimenti Non categorizzato

Come compilare l’offerta per la partecipazione all’asta telematica

La presentazione dell’offerta telematica può essere fatta da due siti web:

Spazio aste;
Portale delle Vendite Pubbliche, che rinvia al sito si spazio aste.

 

Sito web di Spazio Aste: https://www.spazioaste.it

selezionare “beni immobili”
inserire nei filtri di ricerca il Tribunale di competenza della zona in cui si vuole visionare gli immobili all’asta;
Selezione immobile con applicazione di filtri (categoria, luoghi, prezzo e data di vendita)
Individuato l’immobile di interesse si può accedere, cliccando sulla relativa immagine, alle informazioni generali (dati sul lotto, dati della vendita e descrizione del bene) e alla documentazione (avviso di vendita, planimetrie, perizia ctu e foto)

In questa sezione si trovano 2 tasti:

1 . “Partecipa”: è la modalità di partecipazione all’asta da parte dello spettatore non offerente, che può essere:

il debitore
il creditore;
i comproprietari non esecutati.

Quando viene inviata la richiesta di partecipazione viene richiesto l’inserimento dei dati anagrafici (nome, cognome, indirizzo pec, codice fiscale e dati del documento d’identità) e la motivazione per cui viene richiesta la partecipazione all’asta. Queste informazioni vengono inviate al delegato che controlla validità della motivazione ed ha potere di accettare o rifiutare la richiesta.

2. “Invia offerta”: consente di procedere con l’inserimento dei dati dell’offerente per la presentazione dell’offerta di acquisto, previo reindirizzamento al sito del ministero https://pvp.giustizia.it/pvp-offerta/i/769293?lang=it;

 

Nella prima schermata della sezione “invia offerta” vengono date alcune informazioni di carattere generale necessarie per la compilazione dell’offerta telematica:

Procedere alla compilazione dell’offerta dopo il versamento della cauzione (non è possibile salvare l’inserimento quindi quando si procede si deve già avere a disposizione il CRO del bonifico);
Requisiti per allegati: solo immagini in bianco/nero, 1654×2338 pixel per i pdf, massimo 25 mb di dimensione, P7m PDF i formati ammessi;
Pagamento bollo telematico – rinvio al link PST Giustizia https://pvp.giustizia.it/pvp-offerta/i/769293?lang=it
Elenco dei 6 passaggi necessari per la presentazione dell’offerta;
Flag informativa ex art. 13 D.Lgs. 30 Giugno 2003 n. 196.

→ tasto “continua”

 

Nella seconda schermata si procede con l’inserimento dei dati dell’offerta:

 

Step 1: LOTTO

Presenta il riepilogo dei dati relativi all’immobile e alla procedura. Dopo aver effettuato un controllo  → tasto “conferma” per procedere con.

 

Step 2: PRESENTATORE

Richiesto inserimento di:

Dati anagrafici (da verificare se corretto l’inserimento – non c’è un controllo automatico del codice fiscale)
Contatti (mail, pec, cellulare)
Indirizzi

 

Step 3: OFFERENTE

Se l’offerente coincide con il presentatore fleggare “stessi dati presentatore” altrimenti compilare con i dati richiesti.

C’è la possibilità di aggiungere più offerenti.

 

Step 4 : QUOTA – TITOLI DI PARTECIPAZIONE

Specifica diritto (proprietà, usufrutto, …)
Quota;
Titolo in forza del quale si partecipa all’asta:
titolo personale;
in qualità di rappresentante legale;
procuratore
tutore
per persona da nominare
Specifica documento relativo alla qualifica sopra indicata da includere in seguito (es. procura – verbale assembleare …)

 

Step 5: OFFERTA

prezzo offerto;
termine di pagamento;
estremi del versamento della cauzione: il pagamento deve essere eseguito a mezzo bonifico bancario sul conto corrente specificato nell’avviso di vendita)
specifica dell’IBAN per la restituzione della cauzione (deve essere lo stesso iban dal quale è stato eseguito il bonifico)
importo cauzione;
iban beneficiario;
numero di CRO;
data e ora del bonifico;

Sezione Allegati:

– specifica tipo documento → opzioni:

Visura;
procura speciale;
verbale fideiussione:
altro

Non previsto tra le opzioni il documento d’identità che deve essere allegato nell’opzione “altro”.

I documenti allegati non devono essere firmati digitalmente.

-specifica utente per cui si allega documento

 

Step 6: RIEPILOGO

Dichiarazioni da fleggare;
Firma offerta – 2 modalità:
Firma in linea: senza scaricare e riallegare;
Scarica e firma fuori linea: scaricare e riallegare nella sezione 3 dopo aver firmato digitalmente (formato p7m).

 

Dopo la conferma appare l’ultima schermata con una sezione evidenziata in verde “l’offerta è stata inserita correttamente”.

Per procedere con l’invio dell’offerta è necessario:

→ scaricare il file in formato P7M ricevuto per e-mail: è necessario non tentare di aprire il file contenente l’offerta in quanto c’è il rischio di alterazione della stessa;

→ allegare il file alla pec unitamente alla ricevuta di pagamento del bollo telematico;

→ inviare i documenti all’indirizzo pec che si trova specificato nel manuale utente contenuto nel sito web del PVP: offertapvp.dgsia@giustiziacert.it

Appalti pubblici Approfondimenti

Partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici: quali sono i principali portali telematici per presentare offerte?

Come ormai noto agli addetti ai lavori, dal mese di ottobre 2018 le procedure di aggiudicazione di contratti pubblici si svolgono mediante procedure elettroniche.

È opportuno, pertanto, che gli operatori economici si adoperino in modo da poter partecipare alle procedure in modalità elettronica.

Ma quali sono i portali da tenere sotto controllo?

Firenze Legale ne ha selezionati alcuni:

Il mercato elettronico delle pubbliche amministrazioni (cd. MEPA).

Si tratta di un mercato virtuale per gli acquisti in rete della PA.

La piattaforma offre vantaggi sia alle PA che alle imprese, digitalizzando i processi di procurement pubblico, riducendo i tempi di gara e anche i costi commerciali.

Per partecipare alle procedure indette su MEPA è necessario registrarsi. Dopo questo passaggio, l’utente deve indicare la propria categoria merceologica di appartenenza, in modo da visionare procedure e ricevere richieste di offerta per il solo ambito in cui si opera.

Per le procedure sopra soglia, il MEPA utilizza il Sistema dinamico di acquisizione. Quest’ultimo è comporto di due fasi: a) una fase di qualificazione indetta da Consip, ove gli operatori economici si qualificando per una certa tipologia di servizio/categoria merceologica; b) una fase durante la quale la stazione appaltante pubblica un appalto specifico al quale possono partecipare gli operatori qualificati.

 

Sistema Telematico Acquisti Regionale Toscana (cd. START).

È la piattaforma dove la maggior parte degli enti pubblici toscani pubblicano le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture. Anche in questo caso è necessario registrarsi ed accedere con il proprio nome utente e password.  L’operatore economico riceverà mail di aggiornamento relative a tutte le procedure relative al proprio ambito di attività.

 

Net4Merket.

Alcuni operatori economici utilizzano questo portale telematico per pubblicare le proprie procedure. In questo caso, tutta la procedura è autonomamente gestita dall’ente pubblico ed il portale è funzionale alla gestione della procedura in modalità elettronica.

Anche in questo portale è possibile effettuare una registrazione.

 

Attenzione: tutte le registrazioni sopra indicate sono gratuite.

Esistono inoltre vari siti internet che monitorano procedure di gara in tutta Italia ed Europa. Alcuni richiedono il pagamento di un abbonamento, altri una mera registrazione.

Si precisa, infine, che gli enti pubblici, in apposita sezione, pubblicano tutte le procedure in corso di svolgimento.

Inoltre, le procedure sopra soglia comunitaria sono pubblicate su Gazzetta Ufficiale (italiana o europea, in base agli importi), consultabili anche online dai siti: e https://eur-lex.europa.eu/oj/direct-access.html?locale=it.

Approfondimenti

“SMART WORKING” in cosa consiste, come si realizza, perché conviene

Definizione e tratti distintivi
Lo “smart working” o “lavoro agile” è stato introdotto per la prima volta in Italia dalla L. 22 maggio 2017, n. 81 con lo scopo esplicitato nella suddetta normativa di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Per comprendere il reale significato del “lavoro agile” occorre innanzitutto sgomberare il campo da possibili e ricorrenti equivoci e precisare che lo “smart working” non è una nuova tipologia contrattuale del rapporto di lavoro (trattandosi pur sempre di lavoro subordinato), nè si tratta del lavoro svolto interamente da casa, con modalità da remoto, che invece caratterizza il c.d. telelavoro.
Si tratta, invece, di una particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato che implica un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di un’azienda, consentendo al lavoratore, mediante accordo tra le parti, di svolgere la prestazione in parte all’interno dei locali aziendali ed in parte al di fuori senza precisi di vincoli né di orario, né di luogo di lavoro.
Il responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working, offre una puntale definizione del Lavoro Agile, affermando: “Smart Working significa ripensare il lavoro in un’ottica più intelligente, mettere in discussione i tradizionali vincoli legati a luogo e orario lasciando alle persone maggiore autonomia nel definire le modalità di lavoro a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Autonomia, ma anche flessibilità, responsabilizzazione, valorizzazione dei talenti e fiducia diventano i principi chiave di questo nuovo approccio.”
I necessari corollari dello smart working sono i seguenti:

Flessibilità di orario e di luogo di lavoro
Il primo elemento che caratterizza il lavoro agile è la flessibilità, ovvero il superamento dello schema classico del rapporto di lavoro subordinato svolto all’interno dell’azienda e nell’arco di un determinato orario. Lo smart working presuppone, infatti, la concessione della libertà del dipendente di decidere, per il tempo di lavoro prestato al di fuori dei locali aziendali, di organizzare la propria attività lavorativa, senza alcun vincolo di orario, salvo il rispetto dei limiti di orario massimo giornaliero e settimanale previsti dalla legge e dai CCNL, e senza la necessità di recarsi presso l’azienda, scegliendo, ancora una volta liberamente, la propria sede di lavoro alternativa ai locali aziendali, che potrà coincidere con la propria abitazione, ovvero con uno spazio di co-working o più semplicemente una comune pubblica biblioteca.
Organizzazione dell’attività lavorativa per cicli, fasi e obiettivi
Il secondo corollario dello smart working, diretta conseguenza del primo, è la necessaria revisione dell’organizzazione dell’attività lavorativa da parte dell’azienda, che implica il passaggio ad una definizione del lavoro per fasi, cicli e obiettivi e non più basato unicamente sulle ore lavorate.
Se da un lato, dunque, la flessibilità tipica dello smart working implica libertà del lavoratore e possibilità di contemperare le esigenze di vita e di lavoro, dall’altro lato la determinazione di obiettivi periodici o precise fasi di lavoro, presuppone responsabilità, o meglio, responsabilizzazione del lavoratore.
La simultanea compresenza di tali elementi, consente, infatti, al datore di lavoro di poter verificare la produttività del proprio dipendente e determina, anche sotto tale profilo, un cambiamento nell’approccio del “controllo datoriale”. Il datore di lavoro, infatti, passa da un controllo di tipo formale, limitato al rispetto dell’orario e dell’ordinaria diligenza nello svolgimento della prestazione, ad un controllo di merito, slegato dall’orario e dal regolamento aziendale, ma rivolto alla verifica della concreta realizzazione del risultato.
La maggiore fiducia concessa al lavoratore, elemento imprescindibile dello smart working, va quindi di pari passo con la responsabilizzazione sui risultati portando ad una maggiore competitività e produttività aziendale.
Dotazioni tecnologiche    Terzo corollario dello smart working è l’utilizzo degli strumenti tecnologici necessari per lo svolgimento dell’attività lavorativa all’esterno dei locali aziendali. I requisiti tecnologici minimi per realizzare un programma di smart working saranno la disponibilità di un PC, di un telefono aziendale e di una connessione ad internet. Tali strumenti, devono essere forniti dal datore di lavoro il quale è tenuto a garantirne il buon funzionamento e il rispetto degli standard di sicurezza.

 

Come e quando può essere realizzato

Lo smart working, essendo una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, può essere introdotto in qualunque momento del rapporto di lavoro, previo accordo scritto con il lavoratore.
La L. 81/2017 prevede espressamente la necessità di un accordo scritto tra le parti che deve essere obbligatoriamente inviato telematicamente, tramite procedura on line, al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Tale accordo, sulla base di quanto previsto dall’art. 19 della L. 81/2017 deve prevedere tali requisiti minimi:
– La durata: l’accordo può essere sia a tempo indeterminato o determinato
– Il recesso: nel caso di accordi a tempo indeterminato il recesso è possibile con un preavviso di almeno 30 giorni (90 per i lavoratori disabili ai sensi dell’articolo 1 della legge 12 marzo 1999, n. 68), ovvero senza preavviso in caso di giustificato motivo. Negli accordi a tempo determinato, invece, non è ammessa la possibilità di recesso, salvo presenza di un giustificato motivo.
– Le modalità di svolgimento della prestazione: l’accordo deve contenere la disciplina dell’esecuzione della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali, con particolare riguardo agli strumenti tecnologici utilizzati e al rispetto del diritto alla disconnessione per il lavoratore. Va infatti, ricordato, che l’utilizzo prevalente di tecnologie informatiche in combinato con la definizione degli obiettivi per fasi e cicli in assenza di un orario prestabilito non possono e non devono tradursi in una pretesa aziendale di perenne reperibilità, sussistendo un diritto del lavoratore alla disconnessione, che è opportuno disciplinare all’interno dell’accordo.
– Potere di controllo e disciplinare: nel programma di smart working devono inoltre essere illustrate le modalità di controllo della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, tenendo conto dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.
I dati raccolti con l’utilizzo degli strumenti tecnologici di lavoro potranno, infatti, essere utilizzati per tutte le finalità attinenti al rapporto di lavoro, ivi compreso l’esercizio del potere disciplinare, purchè il lavoratore sia stato adeguatamente informato sull’utilizzo degli strumenti e sulle possibilità di controllo.

 

Le tutele dello smart – worker

Un elemento essenziale della normativa che introduce il c.d. lavoro agile è la parità di trattamento degli smart workers rispetto ai dipendenti che non aderiscono a tale tipologia di svolgimento del lavoro. Il trattamento normativo e retributivo deve essere il medesimo, come l’adozione delle adeguate norme di sicurezza. In particolare, per quanto riguardo l’orario di lavoro, di fianco al riconoscimento del diritto alla disconnessione, la norma riconosce come inviolabili i limiti di orario previsti dalla normativa vigente e dalla contrattazione collettiva.
I lavoratori “agili” hanno, inoltre, diritto alla tutela prevista in caso di infortuni e malattie professionali anche per quelle prestazioni rese all’esterno dei locali aziendali e nel tragitto tra l’abitazione ed il luogo prescelto per svolgere la propria attività.
Su tali aspetti, l’INAIL ha fornito le istruzioni operative nella circolare n.48/2017.
Si rileva, inoltre, che la Legge di Bilancio 2019, riconosce una priorità alle richieste di lavoro agile formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità e dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità.

 

Quali vantaggi per le aziende

Utilizzando le evidenze raccolte dall’Osservatorio sullo smart working attraverso survey e casi pilota, si può affermare che i benefici ottenibili dall’introduzione dello Smart Working da parte delle aziende possono essere concreti e rilevanti, traducendosi in un miglioramento della produttività del lavoratore, riduzione dell’assenteismo e riduzione dei costi per gli spazi fisici.
È lo stesso legislatore ad identificare due motivi per i quali datore di lavoro e lavoratore possono trarre vantaggi dal ricorso alle modalità di lavoro agile: si tratta dell’incremento di competitività dal lato datore di lavoro e l’agevolazione della conciliazione vita lavoro, dal lato lavoratore. L’incremento di competitività può essere letto nella duplice sfaccettatura dell’aumento di produttività e altresì nell’incremento dell’employer branding aziendale, attraendo la forza lavoro più talentuosa e motivata.
A questi primi due motivi si aggiunge quello più concreto ed immediato che consiste nella riduzione dei costi per l’impresa, in termini di minor costo per spazi ed attrezzature e altresì per lo svolgimento della prestazione lavorativa. In altre parole, il lavoratore che svolge la sua prestazione in modalità agile consente all’impresa di ridurre i costi di affitti, utenze e attrezzature, in quanto lo spazio necessario per l’organico si riduce in proporzione all’intensità e frequenza con cui la prestazione lavorativa si svolge in modalità agile.
La riduzione del costo del lavoro, infine, può derivare anche dai minori oneri per lavoro straordinario, che mal si combina con la modalità “smart” di lavorare che per sua natura, non ha vincoli di orario predefiniti.

Approfondimenti Consulenza societaria - contrattualistica d'impresa

Uso del marchio altrui per il posizionamento sul web: keyword advertising

Ad oggi è molto diffuso l’utilizzo dei servizi di posizionamento a pagamento (Ads), per la sponsorizzazione di attività aziendali , mediante la creazione di annunci e la scelta di parole chiave pertinenti alle esigenze e alle ricerche dell’utente.  Tale attività non presenta particolari criticità quando le parole utilizzate sono di uso comune oppure quando il marchio utilizzato è di proprietà del soggetto che crea l’inserzione. Diverso, invece, il caso in cui un’impresa utilizzi termini che corrispondono a marchi o ad altri segni distintivi di un’altra impresa o comunque quando l’inserzione sia creata da un soggetto terzo.

Al fine di inquadrare gli obblighi e le facoltà delle parti, è necessario tener presente il quadro normativo di riferimento contenuto nel Codice della Proprietà Industriale, in particolare agli artt. 20 e 21. L’art. 20 del Codice della Proprietà Industriale prevede che: “I diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio” nonché nel diritto “di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica: 

a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato; 

b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni; 

c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.”

Tale diritto esclusivo, trova i limiti nell’art. 21 del Codice Proprietà Industriale, che prevede che il titolare, nello svolgimento della propria attività economica non possa vietare a terzi, l’uso del proprio nome e cognome, l’uso di indicazioni relative alla specie alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto e della prestazione del servizio, ovvero ad altre caratteristiche proprie del prodotto medesimo (il c.d. uso descrittivo), nonché l’uso del marchio di impresa se necessario per indicare la destinazione di un prodotto e/o servizio (es. accessori e/o pezzi di ricambio) purché tale uso sia conforme ai principi di correttezza professionale, ossia non determini il verificarsi di illeciti concorrenziali e non crei confusione all’interno del mercato.

Alla luce della normativa riportata, l’uso di marchi altrui come parole chiave per servizi di posizionamento di Google può astrattamente costituire violazione di marchio, tuttavia è necessaria una valutazione caso per caso al fine di comprendere le ragioni e la natura dell’utilizzo di quel determinato marchio come parola chiave. Infatti tra le parti potrebbe essere intercorso un accordo commerciale oppure, dall’analisi della fattispecie in concreto, potrebbe emergere l’applicazione del regime di libera concorrenza e pubblicità comparativa, pertanto è necessario valutare se la restrizione pubblicitaria rivela un grado sufficiente di danno alla concorrenza da poter essere considerata una restrizione della concorrenza per oggetto ai sensi dell’articolo 101.

 

RAPPORTI TRA IMPRESE CONCORRENTI:

La giurisprudenza comunitaria nel caso “Interflora” – Marks & Spencer (C-323/09) avente ad oggetto l’utilizzo, da parte di Marks & Spencer, della keyword “Interflora” per posizionare un annuncio di consegna di fiori a domicilio, senza riportare il marchio Interflora nel testo dell’annuncio, ha affermato che “il titolare di un marchio ha il diritto di vietare ad un concorrente di fare pubblicità a prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando il predetto uso è idoneo a violare una delle funzioni del marchio”. La Corte evidenzia che l’assolutezza della tutela contro l’uso non consentito di segni identici ad un marchio, per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, deve essere comunque contestualizzata, in quanto la tutela offerta dalla normativa mira solo a garantire che il marchio possa adempiere le proprie funzioni.

Le restrizioni imposte ai distributori nell’utilizzo della denominazione del brand sono da ritenersi illegittime e in violazione della normativa sulla concorrenza, pertanto non possono essere oggetto di accordo tra le parti, in particolare qualora ad imporle sia il brand stesso, anche indirettamente e non attraverso la sottoscrizione di accordi commerciali.

Con la decisione 17 dicembre 2018, la Commissione Europea, nel caso Guess, ha sanzionato l’azienda in quanto la stessa aveva imposto ai propri distributori indipendenti limitazioni per l’utilizzo del marchio “Guess” in particolare in Google Adwords.

La condotta di Guess si è concretizzata nel vietare ai rivenditori autorizzati, sia monomarca che multimarca, l’utilizzo o la possibilità di fare offerte su nomi e marchi commerciali di Guess come parole chiave in Google. Tale previsione non era inclusa negli accordi commerciali, ma posta in essere sistemticamnete ogni volta che un retailer chiedeva a Guess di utilizzare la denominazione in Google Adwords. Ciò in ragione del fatto che tali autorizzazioni avrebbero comportato un incremento dei costi per Guess stessa ed avrebbero diminuito la visibilità a discapito dei retailer.

La Commissione, richiamando la giurisprudenza della Corte Europea (cfr. Coty Case) ha affermato che la disciplina dei marchi autorizza il titolare di un marchio a vietare all’inserzionista pubblicitario di pubblicizzare beni o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato utilizzando una parola chiave identica a tale marchio e selezionata dall’inserzionista senza il consenso del titolare, soltanto in circostanze in cui la pubblicità non consente o rende difficile ad un utente medio di Internet, accertare se i beni o servizi provengono dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata ad esso o da una terza parte.

Tale giurisprudenza non può essere invocata per giustificare una limitazione della capacità dei rivenditori autorizzati nei sistemi di distribuzione selettiva, che vendono prodotti reali, poiché in questo caso non vi è alcun rischio di confusione come all’origine dei prodotti e non ricade nello scopo di tutelare l’immagine del marchio.

Anche in Italia la giurisprudenza è intervenuta, il Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa, con sentenza 3280 del 2009, ha ritenuto illegittimo l’utilizzo, come parola chiave in una campagna Ads del marchio di nota società di noleggio, da parte di società concorrente; scelta che, secondo il Tribunale era evidentemente tesa a sfruttare la notorietà del marchio a proprio vantaggio configurando, nel caso specifico, un’attività confusoria, sviamento della clientela e violazione del marchio per l’individuazione di servizi offerti dall’inserzionista, sicuramente affini a quelli della società il cui marchio era stato inserito come parola chiave.

 L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è stata chiamata a decidere, nel mese di febbraio del 2015, su un caso di utilizzo di marchio altrui tra le parole chiave relative ad una campagna ads. In ordine all’utilizzo del marchio di nota società veneta di arredamento cucine da parte di società concorrente, senza che vi fosse alcun rapporto di natura commerciale, l’Autorità ha ritenuto che la condotta posta in essere dalla società inserzionista sia ingannevole e determini confusione tra i consumatori, così configurando un’ipotesi di pratica commerciale scorretta, ai sensi degli articoli 20, comma 2, 21, comma 1, lettere a) ed f), e comma 2, lettera a), del Codice del Consumo, ne vieta la diffusione o continuazione e irroga alla Società una sanzione amministrativa pecuniaria di 11.000 € (undicimila euro).

 

RAPPORTI CON L’INSERZIONISTA TERZO:

Per quanto riguarda l’aspetto della responsabilità dei motori di ricerca, la Corte di Giustizia Europea in data 23 marzo 2010, nel caso “Google France” ha delineato le responsabilità dei motori di ricerca nel caso in cui si verifichino illeciti concorrenziali realizzati dagli inserzionisti.

La Corte ha affermato che Google, al contrario dell’inserzionista, può beneficiare dell’esenzione di responsabilità prevista dall’art. 14, n. 1 della Direttiva 2000/31CE per l’attività di catching, a condizione che si limiti ad attività di ordine “meramente tecnico, automatico e passivo” e che non abbia nessuna conoscenza o controllo sulle informazioni.

Tale condizione non viene meno in considerazione del fatto che il servizio sia offerto a pagamento e che sia proprio in forza di tale pagamento che si visualizzano le inserzioni,  ma l’illecito si configura allorché l’annuncio che accompagna il link sponsorizzato induca l’utente di Internet a ritenere la sussistenza di un “collegamento economico” tra l’autore dell’annuncio o il titolare del sito, ovvero quando il medesimo sia talmente vago da non consentire all’utente “normalmente informato e ragionevolmente attento” di sapere, sulla base di tale annuncio e del link, se tale collegamento sussista o meno.

In sostanza la responsabilità di Google residua a quelle ipotesi in cui, su segnalazione, non si intervenga prontamente alla rimozione della keyword segnalata come oggetto di atto di concorrenza sleale e contraffazione.